lunedì 11 luglio 2011

Pensiero Numero Nove.

Solleva lo sguardo sulla punta delle ciglia esalando una sottile spirale di fumo. Il cielo è li, a farsi accarezzare dalle mani invisibili del pensiero, pizzicato nelle corde profonde sembra avvolgerti come una melodia, un dolore strano che ti bacia leggero e azzurro sulla punta delle dita.
-Ho sempre pensato che il tutto -lungo tiro dalla sigaretta- assuma valore grazie al nulla, -ora esala dalle rosee narici- per questo la vita non avrebbe senso alcuno, se non finisse ad un certo punto.
Lei si volta e ti rivolge due occhi immensi e neri che mangiano via il mondo, poi si stringe nelle spalle riportando il filtro tra le labbra, avvolgendo un respiro velenoso nel petto che s'alza e poi s'abbassa. Sorriderle è la risposta a tutte le parole che si lasciava sfuggire dalla bocca, come farfalle spuntare da un cespuglio fiorito e sparpagliarsi lungo le fila del vento.
-Per questo la mia malattia ti permette di essere sano, Stefano.
-Ma tu sei sana come un pesce.
-Io sono. E questo mi basta.

Mia, Mia che dorme. Arroccato il volto tra la spuma dei capelli, faro in quel mare scuro e tempestoso si contrae in un filo di tensione e si distende trasudando da un respiro. Le mani si avvitano lungo spirali contorte, si nascondono tra le pieghe candide delle lenzuola e scavano, spingendo dure le dita contro il tessuto leggero. È un corpo che si schiude aprendo i petali di rosea pelle, il ventre molle e indifeso, le braccia tese verso il buio, poi esplode in un sussulto che si stinge al petto, gambe rannicchiate, il volto nascosto tra le ciocche dei capelli. Grida e con quel grido scopre il petto, offre la gola, scalcia e stringe per poi alzarsi, di scatto, occhi bagnati e lenzuola sparse tutt'intorno.
-Mia..
E nello sguardo opaco intravede un'ombra evaporare gelida, fuggire silenziosamente. Qualcuno che corre tra le porte, pensa, un uomo che corre tra le porte.
-Qualcuno che corre tra le porte..
-Un ladro?
-No.. certo che no..
-Vieni qui.
-Sta cercando me.. ma non mi vede..
-È un incubo.
-Appunto..
Insinua le braccia, come il pensiero, sotto la pelle, tra le lenzuola, abbracciando quel corpo nel buio, quel petto che non vede, quell'uomo invisibile che le offre riparo. Lo può toccare, lo può stringere, baciare. Lo ama, eppure nel buio non lo vede.

Puoi vedere il mondo intero, lo rigiri nei suoi segreti, apri tutti i cassetti e li ribalti.. l'oceano non è che un foulard turchese soffiato via dal vento, la pioggia una collana di perle che si spezza, sugli scaffali del mondo trovi tutte le sue meraviglie racchiuse nelle città, come porta gioie, come scatole di cartoncino color pastello, astucci, e il vento è una fiala di profumo che non puoi fare a meno di sentirti addosso. Però il cielo non lo trovi, il cielo.. quello non ci sta nemmeno in uno specchio, nemmeno sotto le tende di una finestra, nemmeno oltre la finestra.
E così, con le palpebre un po' pesanti per tutto quel guardare e due borse di ricordi sotto gli occhi, cammini lungo il prato, una sigaretta in bocca e una reflex automatica al collo. Scatti una fotografia senza farci caso, ti piacciono alcuni colori e prima di renderti conto di che cosa siano: tlak!, una lama nera recide quell'istante dal mondo, un taglio sottile e netto sul tessuto del tempo, un segno. Li hai presi, li hai fatti tuoi senza pensarci e poi quando sviluppi la pellicola te li ritrovi davanti.
Ecco il cielo, ecco dove si nascondeva: tra la guancia e l'angolo delle labbra di una donna.
È bellissima, un sorriso meraviglioso che neanche avevi notato. E l'hai già vista, da qualche parte, ma non ti era mai sembrata così. Con quei capelli mossi e scuri, la pelle chiara e gli occhi immensi e neri. Il vestito leggero, cangiante, colori vivi, le mani impegnate ad accarezzare un volto giovane e rilassato. Quelle labbra tanto scure, quelle labbra.
Poi ricordi. È un'amica di un amico incontrata ad una festa, una ragazza molto giovane, lei rideva e tu l'avevi guardata in tralice perché avevi il mal di testa. L'avevi offesa, glielo si leggeva in quelle sopracciglia aggrottate e quell'improvviso mutamento d'espressione. Non era una festa no, era una mostra, una delle tue mostre di fotografia. Lei rideva e tu l'hai offesa.
Stefano continua a guardare quell'immagine e cerca la ragazza per le strade della città, i parchi, le chiese, i supermercati, le gelaterie, le piscine, i teatri, i cinema. Poi capisce. Si chiude in casa a lavorare per giorni e giorni e giorni, quando esce sorride e dopo qualche mese eccola li la sua mostra fotografica.
Il cielo immenso su tutta la parete.
È terrificante, così grande e così bella, così vera. E se ne sta li, davanti a lei, in attesa che lo raggiunga. Come poteva non funzionare?
Stai attraversando la strada con la mano stretta in quella del tuo ragazzo, una busta di vestiti nell'altra e il semaforo giallo lampeggiante, e lui si ferma in mezzo alle strisce con l'aria sbigottita. Inchiodato. Sussulti cercando di intimarlo a spostarsi e lui di tutta risposta ti dice
-Ma quelli siamo noi!!
E sta guardando un manifesto, uno dei tanti, una mostra fotografica e il tuo viso, e sotto anche il suo, ma quello che vedi è solo il tuo viso. Il rumore dei clacson ti piomba improvvisamente addosso.

-A volte non capisco. Rimango con il fiato in petto e non vorrei mai buttarlo fuori. Vorrei riuscire a trovare le parole, ma non ci riesco, e continuo a sprecare tutta quell'aria. Sono così concentrato sul come dire che diventa sgradevole persino respirare. Io sono fermo immobile e tu sei ferma immobile, ci stiamo guardando negli occhi e ti sfioro la punta del naso con il mio, siamo abbracciati e c'è silenzio. Vorrei capire che cosa mi succede, vorrei capire cosa sta nascendo dentro me che mi fa sentire così. Come se non ci fosse corpo, come se non ci fossero occhi, stanze, silenzi, tempo. Solo noi e neanche noi. Come se avessi trovato il punto di simmetria dell'universo tutto. La perfezione dell'infinito in quell'abbraccio che va oltre la mia vita e la tua vita, che si perde in noi, che siamo noi, che siamo noi che ci perdiamo nell'infinito, che sei tu e sono io, e tu sei me e io sono te e non c'è bisogno d'altro. E quello è il mio posto, il luogo della felicità vera, quello che inseguirò per il resto della mia vita.

-Passo la metà del tempo a dirti cosa sento, cosa provo, passo la metà del tempo a raccontarti di te, chi sei, cosa mi fai. Non posso fare a meno di parlare di una cosa così, di te, no? Come fai a smettere di parlare della dolcezza, del cielo, del mondo, come fai? È come se non avessi visto mai nient'altro prima che arrivassi tu.

Cade la cenere sulla punta della scarpa, la lascia lì, giace immobile. Neanche un filo di vento. Quello che le sta attorno sembra sia stato appoggiato li, non è destinato a durare, solo capricci del destino che si dimenticano qua e là una manciata di dettagli. Eppure questa volta stanno così bene assieme, creano un quadro stupendo. Ma qualcuno tornerà a prenderseli, il legittimo proprietario. La notte riporrà il sole in tasca, la siccità si prenderà via l'erba, l'autunno troverà tutti quegli odori e li terrà per se. E Stefano? Chi si verrà a prendere Stefano?
-Perché un uomo dal cuore distrutto è disposto ad innamorarsi di una ragazzina?
Lui è appoggiato sulla sedia, una mano sulla fronte, le dita sfiorano le ciocche brizzolate. Gli anni che li separano sono così evidenti. Oggi è stanco, tiene gli occhi socchiusi, quel tanto che gli basta per scorgere appena il volto di Mia.
-Spirito di sopravvivenza, credo.
-No. Autolesionismo. -un altro tiro alla sigaretta- Perché ti sei innamorato di un momento di me, ti sei innamorato di un attimo. Di un sorriso. Di una cosa che non avevi visto prima. Di un'idea o un'emozione o chiamala come ti pare. Tu non mi conosci veramente, credi di conoscermi, ti sei illuso di conoscermi e -esala un sospiro grigio e denso- ami questo di me. -pausa, immobile- Non ami me. Ami qualcosa di me. E lo sai, e questo ti distruggerà. Com'è già successo, come accadrà sempre.
Ora chiude gli occhi, quegli immensi occhi neri che si mangiano via il mondo. Le ciocche scure e ondulate sfiorano la pelle candida, lunghissimi capelli lucidi e morbidi. Indossa un vestito leggero, come il suo tono di voce, un vestito di seta colorata, largo e fresco sotto il quale scompare, pelle e ossa, pelle e seta. Stefano guarda le labbra di Mia rapito da quelle parole, dalla tortuosità del pensiero contorto, dalla follia lucida e irrazionale di quel discorso. Potrebbe dirti che ti odia e lo farebbe con tutto l'amore del mondo. Lui sorride, come sempre, e le chiede
-Perché?
Lei aggrotta le sopracciglia, un po' arcigna apre gli occhi, lo guarda a lungo stringendo le palpebre e poi sbuffa qualche nuvola di fumo.
-Perché quella foto.

Lui è li, ben piazzato sulle gambe, a braccia incrociate sul petto. E l'aspetta. Indossa una camicia di lino bianco perché è estate, stringe una sigaretta fatta a mano tra le labbra, capelli raccolti in un codino. Ogni tanto qualcuno timidamente gli si avvicina, lui dà un'occhiata e poi torna ad ignorarlo come se non esistesse. Nessun ospite durante la serata riesce a scambiarci una parola, non risponde neanche alle domande per non perder tempo, per non lasciarsi distrarre. Sta aspettando, ha detto, sta aspettando una ragazza. La ragazza della foto. E improvvisamente si sparge un brusio incuriosito per tutta la galleria e il giornalista finalmente inizia a tirar giù una bozza per l'incipit della sua recensione. Curiosi si avvicinano a guardare meglio, magari la conoscono. Qualche donna incredula inarca il sopracciglio sorpresa dalla mediocrità del soggetto, scrolla la sigaretta, dà un sorso al suo Martini e poi se ne va borbottando un
-Così ordinaria..
Stefano durante tutto questo tempo ha frugato tra i suoi ricordi, quelli più sciocchi, e ci ha trovato dentro Lei altre volte ancora. Dettagli inutili, atmosfere insipide, nulla di memorabile, nulla di sensato. Poi quel pomeriggio, quei colori in mezzo al verde, quella posa così leggera.. il sorriso. Il cielo.
Poi una mano gli si appoggia sulla spalla, un paio di leggere pacche sufficienti ad irritarlo, si volta con una sottile ruga a solcargli la fronte e se la ritrova davanti.
-Sai per caso chi ha scattato questa foto?
È maledettamente giovane. È probabilmente confusa e per questo arrabbiata, perché è così che reagiscono alla confusione le persone insicure. Ha due occhi immensi che lo fissano con un'intensità a cui non era affatto preparato.
-..io?
Sussurra alzando appena le sopracciglia. Quella si avvicina un po' di più, allunga la mano portandogli via la sigaretta dalle labbra e se la fuma, senza staccargli lo sguardo di dosso. Lo fa in modo così elegante che sembra quasi una carezza.
Qualcuno inizia ad accorgersi dell'improbabilità della situazione, ma il tutto viene rotto da una voce maschile chiamare forte
-Mia! Mia!
Mia non si muove.
-Ti piace?
-Che cosa?
-La fotografia.. -ora si volta appena, indicando la parete ricoperta dall'immensa gigantografia- l'ho fatta io e.. sei tu quella li.
-Lo so.
-E allora perché sei venuta?
-Perché il mio ragazzo se ne è accorto e ha insistito.
-Insistito per cosa?
-Per venirti a chiedere il perché.
-Il perché di cosa?
-Appunto! Non lo so. Io non volevo venire qui.
-Non volevi venire..
-No, non sapevo cosa chiederti. Cosa dovrei chiederti adesso che so che sei tu? Dovrei chiederti il perché mi hai scattato una fotografia? Il perché sia il soggetto principale della tua mostra se ci sono opere esposte qui molto più belle? Perché hai ricoperto la città con i volantini? Dovrei chiederti questo?
-..immagino di si..
-E poi tu cosa mi risponderesti? Che sei innamorato di me? -Stefano impallidisce, aggrottando la fronte- Che hai fatto una foto in un parco e ti sei innamorato della ragazza sulla pellicola e non sapevi come fare a trovarla? Per questo hai appeso la mia immagine su ogni muro, per questo hai scelto questo soggetto come opera principale, per questo te ne stai fermo a fissare questo scatto mediocre quando tutti gli ospiti si stanno chiedendo cosa ci sia di tanto speciale? E poi io cosa dovrei dire? Dovrei innamorarmi di te e sposarti magari, oppure dovrei baciarti e uscire con te, o pensare che sei un maniaco, uno stalker, un drogato, un malato d'amore, un pazzo, uno sfigato..? -Stefano si sente piccolo piccolo, come non gli succedeva da una vita- La verità è che io non volevo venire qui perché non volevo farti una domanda, perché non volevo avere una risposta. -abbassa lo sguardo- Un giorno al semaforo butto l'occhio su una locandina finita per terra, sull'asfalto, e vedo il mio volto. Sai, la guardo bene, incredula, non mi sembra vero che quella li sono proprio io. Le macchine iniziano a suonare, è verde e riparto con un'agitazione addosso che non avevo avuto mai. Mi sento inquieta, perplessa, stupefatta, eccitata, come se improvvisamente tutto fosse surreale eppure vivido, forte. Passo due settimane a chiedermi perché?, a chiedermi come mai?, a chiedermi chi sei?. Ho una fottuta paura addosso. -e rialza lo sguardo- Non capisco più niente, mi sento annullata da questa coincidenza, da questo mistero, da questa sciocchezza che mi mette profondamente in crisi, eppure sono così felice.. -arrossisce- inizio a sognarti di notte, sogno di incontrarti, il tuo volto, la tua voce, lo sguardo. Sono bei sogni, mi riempiono di una gioia irrazionale e penso che vada bene così, che non posso chiedere di più perché questo equilibrio è fragile e basta una risposta sbagliata ad allontanarmi. Quindi me ne sto zitta e spero di incontrarti prima o poi, ma senza tirare in ballo la fotografia. Perché questa fotografia mi ha stravolto, questa fotografia mi ha ossessionata, è la chiave di tutto, questa fotografia mi sbatte in faccia il tuo amore e ha fatto nascere l'amore che provo per te, che neanche ti ho visto mai, se non adesso che te ne stai qui, e vorrei baciarti se solo non..
-...-
-..se solo non fosse che siamo proprio qui, che ti devo fare una domanda la cui risposta non voglio sapere, perché distruggerebbe tutto il mio amore.
Tutti adesso li fissano. Silenzio, rotto solo da un
-Mia! Mia!
E finalmente li raggiunge.
-Mia..?
-Scusa ma adesso devo andare.
E si solleva appena sulla punta dei piedi lasciandogli un bacio sulla guancia, dà l'ultimo tiro alla sigaretta e poi la butta a terra ancora accesa, così, lasciandola cadere.

Ogni tanto quando si volta lo percepisce con la coda dell'occhio, sfreccia via, sfugge. Magari capita quando esce dalla doccia, quando si guarda allo specchio, quando è intenta a seguire il filo dei suoi pensieri o sta portando il caffè nello studio di Stefano. Una volta quando era in casa da sola aveva chiuso tutte le porte, quando Stefano tornò per cena dovette aprirle tutte, con estremo stupore, fino a trovarla nel salotto che leggeva un libro distesa sul sofà.
-Perché hai chiuso tutte le porte?
-Così faccio dispetto all'uomo che scappa da una stanza all'altra.
Lui iniziò a ridere, lei pure, vagamente imbarazzata. Era sempre stata razionale nella sua follia: luci spente, porte chiuse, passò un'estate in giardino dove non c'erano ombre sfuggenti, né incubi ciechi alla sua ricerca.
Le aveva suggerito occasionalmente qualche seduta dallo psicanalista, tanto per risolvere i capricci del suo inconscio, in tutta risposta gli aveva detto che un medium era preferibile. Nel corso degli anni quell'ombra era diventata un'abitudine, e Mia aveva smesso di comportarsi come se fosse reale. Tutto era tornato alla normalità.

-Poi mi dici che è tutta una questione di particolari. Mi chiedi perché sono qui. Mi chiedi a chi appartengo, dici che qualsiasi cosa sia la odi perché mi ami. Piangi, dici che la natura umana è crudele, è ingiusta, dici che il tempo è falso e menzognero, che io amerò per sempre questo momento ma non amerò per sempre te. E mi dispiace, ti stringo un po' di più fino a sentire solo l'odore della tua pelle, bagnandomi un po' le guance con le tue lacrime pesanti. Ma non so cosa fare di più per te, capisci? Non so cosa mi chiedi, quale dimostrazione.. stiamo bene, siamo felici, siamo completi eppure.. qualcosa ti tormenta e ti ferisce. Mi dici che è unico quello che c'è tra noi, mi dici che non sei stata mai così. Eppure sei qui che piangi sul nostro amore, sulla nostra vita. Sei qui piena di paura. In casa nostra a volte ti senti un'ospite, lo so, qualcosa ti insegue, qualcuno, un'ombra ti cerca, un incubo che non vuoi guardare in faccia..

Sospira, spegne la sigaretta nel posacenere e si passa una mano tra i capelli, li sistema dietro all'orecchio.
-Mi hai detto, una volta, che quello che trovi in me.. con me.. è il luogo della felicità. E che passerai il resto della tua vita ad inseguirlo.
-Sì, è vero..
-È una cosa terribile da dire. È terrificante.
Scuote appena il capo, portando una mano a coprire momentaneamente il volto. Il sole sta sprofondando nelle tasche della sera, un grosso orologio d'oro, e si sparge tutt'intorno un odore come di stelle.
-Passerai il resto della tua vita a cercare la felicità in tante altre cose, in tante altre persone. Ma non più in me..
Stefano sorride prendendo fiato, il cuore stretto, lo protegge con la mano che appoggia al petto.
-Non te ne andare.. siamo felici insieme..

-Quello che intendevo, sai, prima che ti alzassi e te ne andassi via, è che io passerò il resto della mia vita ad inseguire quel momento, quell'istante, quell'abbraccio.. quella felicità. Ma non lo troverò da nessuna parte. Perché è una cosa che appartiene solo a te, che si trova soltanto in te, in noi. Volevo dire questo io, sai.. e te lo dico ora per telefono che non amo l'amore, non amo la sensazione, non amo la pace che tu mi dai.. lo so cosa pensavi, tu pensavi che io amassi qualcosa che qualsiasi altra donna avrebbe saputo darmi. Che amassi l'idea di una vita di coppia. Ti sei sbagliata. Io amo te, e soltanto te sei in grado di darmi questo. Potrei amare un'altra donna, e non sarebbe la stessa cosa. Sarei felice ma non sarei così felice, come lo sono con te. Potrei essere innamorato pazzo sai, come quando ero giovane, eppure non sarei al mio posto. Io te l'ho detto dov'è il mio posto. L'ho trovato. Adesso però come faccio se non ci sei più?

-Era una domanda, una maledetta domanda Stefano, quella domanda che mi tormentava il cuore giorno e notte, notte e giorno. Il fato crudele che mi ha portato a spingerla sulla punta della lingua guardandoti negli occhi, senza pronunciare un fiato, ma era come se te l'avessi fatta. Era come se mi avessi risposto. Non volevo fartela io, l'ho detto, l'avevo detto io che non volevo fartela perché mi faceva male, perché era ingiusta e avrebbe rovinato tutto.. perché, perché, perché, perché? Ma io non voglio saperlo! Perché allora ho paura che tu non mi ami davvero..?

Sai, magari te ne stai a ciondolare pigro in un pomeriggio di mezza estate, hai la testa vuota e sei a corto di storie. Ad un certo punto La vedi o Lo vedi, può capitarti o non ti capiterà mai. Ma se ti capita beh, di solito quelli senza talento alcuno lo chiamano “colpo di fulmine”. Mi è piombato addosso. È difficile gestire una cosa come questa, un imprevisto del genere, perché se non te le poni tu le domande se le pongono gli altri al posto tuo. Ed eccoti a pensare razionalmente a cosa è successo, quale fu la causa prima. Che cosa ho amato, lei o l'immagine nella fotografia? Che cosa mi ha colpito? L'istante? La persona? E se ci fosse stata un'altra ragazza li?
Ecco io.. non lo so.
Però io amavo lei, in un modo che non capivo fino in fondo, e lei amava me senza avermi visto mai. Il miracolo non è stato l'essermi innamorato di lei, la straordinarietà sta nel fatto che abbiamo continuato ad amarci per anni. In fondo credo che tutte le storie d'amore si assomiglino, semplicemente di solito ci mettono più tempo a svilupparsi mentre la nostra ha richiesto il tempo di uno scatto, di un'occhiata soltanto.
Lei però non riusciva a credermi, ma lo desiderava con tutta se stessa.
Pensava che amassi il momento, che amassi l'abbraccio, il particolare, senza capire che erano tutte conseguenze della sua persona, che senza di lei non ci sarebbero state. Che non ci saranno più senza lei, che potrei provare a cercare in altri dove senza mai trovarle, penoso mendicante maldestramente incastrato tra presente e passato.
Sono un fotografo: non ricerco l'istante. L'istante, lo scatto, è solo un mezzo per raggiungere il significato. È il linguaggio attraverso cui la realtà si manifesta. E la realtà in quella foto mi stava dicendo che eri tu. Il significato eri tu. Con quegli occhi neri e grandi che si mangiano via il mondo, che lo distruggono a inseguire ombre rincorrersi tra le porte di casa.
Se me l'avessi chiesto avrei potuto risponderti. Sarebbero scomparsi gli incubi, il pianto, mi avresti creduto. Forse è qui che mi sbaglio, forse non mi avresti creduto mai. Per questo non mi hai chiesto mai il perché.
Un giorno se ne è andata, era pallida e tremava.
Ha detto
-L'ho visto negli occhi..
E ha contratto il viso in una smorfia di dolore.
Avrei dovuto chiederle “che cosa?”, e invece me lo stava già dicendo lei, lo sguardo opaco e le labbra smorte, logorata da quel nascondino vigliacco, da quell'eterna fuga da se stessa.
-Sai Stefano, si è fermato e lo vedevo con la coda dell'occhio ma quando mi sono voltata.. lui questa volta è rimasto li. In mezzo al corridoio si è girato e mi ha guardato dritto negli occhi..
Mi dico che forse è la stanchezza, il caldo, la sete, l'emozione. Lei rovescia gli occhi e scivola a terra, così, come una piuma.
Un giorno se ne è andata, era pallida e tremava e mi ha lasciato qui, con il suo corpo vivo senza più lei, senza più sorrisi, senza più il cielo.

Non ho mai cercato lo scatto, l'istante, l'immagine. Io cercavo te.
Lo giuro.

venerdì 6 maggio 2011

Pensiero Numero Otto.

Un po' ci si incastra tra i cieli e la città,
c'è l'odore verde e qualche scheggia d'asfalto, di traverso.
Posso mettere a fuoco il neo sulla tua pelle,
soffi rosa di vento l'odore della luce sulla pelle
l'odore del vento, del rosa, del verde, un po' d'asfalto
di traverso sulla tua pelle

e mille e mille ciglia sui tuoi occhi si scompongono
in sguardi in praterie spettinate dal mal tempo
e tutte quelle lame si riflettono nei lacci dei vestiti
nei cocci dei capelli nei boccioli più belli scoppiare
di purpureo
orrore
scoppiare in primavera, scoppiare di traverso
sull'asfalto incastrati tra i cieli e la città.

Stride, urla, grida, trasale, sospira, ansima, mugula, implora, sussurra, silente
con le mani a raccogliere il tempo a pezzi strisciare sul cemento
si disperde, si contorce e si scioglie in rosse pozze
annaspa ancora e inghiotti un po' di aria
un po' di vita, tendi la lingua, annusa
caldo, caldo, fa caldo e c'è tremore
ci si stringe al petto incassando la testa verso il cuore
le mani a grattare via i graffi, le ferite, ossa rotte
vene aperte, spaccate, sgocciolanti
riversi il sangue nel mare, in quel mare d'asfalto
in quel mare di mondo che prima non toccavi no
che prima non toccavi, lo riversi, lo rigetti
lo mescoli lo diluisci lo schianti
lo confondi.

Ti sparpagli via nel immenso oltre di te
con la luce diagonale che ti inchioda a mezzo l'occhio
con il vento polveroso che ti sporca in mezzo
e la gente ti si tuffa dentro
scava a fondo urlando con la voce
ma non trovano te, no
no, non trovano te.

Non trovano te.
Dove sei finito, dove?
Dove sei finito, dove?
Dove sei finito.
Dove sei finito.
Finito.

giovedì 24 marzo 2011

Pensiero Numero Sette.


Rivolgiamo l'attenzione alle splendide labbra dipinte di Lydia Vane. Guardate quanta beltà, guardate! Sono grappoli gonfi e lucidi, sono lamponi e ciliege, sono l'odore intenso di una coppa di vino. Si può scivolare lungo quella linea curva di vanità, si può scivolare e perdersi negli angoli del suo sorriso. Quella bocca sorniona che strappa sguardi come morsi ad una fragola, si modella in un'espressione ambigua e poi scoppia in una risata argentina. Ancora una volta non staccatele gli occhi di dosso, continuate a seguire il filo delle sue parole, s'imprimono appena sul viso, rubiconde luccicano nella penombra dei denti e poi scivolano via come bolle di sapone, si disperdono come farfalle, cangianti e attraenti tornano a posarsi sul nettare di quelle labbra.
È la bocca di una bugiarda e distilla il liquore più amaro.
Lasciatevi ingannare dal loro profumo, si schiuderanno in un bacio di dolce impudenza e vi ammalieranno con una menzogna leggera, poi un'altra e un'altra ancora, come germogli di un glicine che si arrampica su per le corde del vostro cuore fino a stritolarlo nella morsa dell'illusione. Il mondo delle apparenze è fatto di veli vaporosi, sete pregiate e lucidi colori, si gonfiano con la brezza leggera in invitanti onde sinuose, scivolano e luccicano sfiorandovi la pelle in fresche carezze, nascondono il mondo dietro l'effimero piacere di poter finalmente chiudere gli occhi.
Sono parole che fanno gola al cuore, sono linee mutevoli e affascinanti che saziano la sete dello sguardo, puoi berne e berne ancora e ancora, ubriacati! Inebriati delle loro bugie, immergiti nel falso tepore del loro bacio e gonfiati del loro sospiro prendendo fiato.
E con la leggerezza d'un' aspra smorfia rifuggono dure allontanandoti in un silenzio di pensieri insidiosi. Rimani solo tentando di strappare al vuoto il riflesso di pochi minuti fa, cercando tra l'aria i ricordi di quelle parole, eppure devono essere ancora li perché sono pur rimaste in fondo al cuore..!
Guardate le splendide labbra dipinte di Lydia Vane. Il veleno più dolce lo lasciano in fondo al petto, tra il desiderio e la realtà, torturano ammalianti i vostri sogni riducendoli a brandelli, stregano i vostri sensi. Vorreste averne ancora e ancora, e non vi basterebbero mai le splendide menzogne che sanno raccontare. Guardate che bocca, quella di Lydia Vane. Guardatela bene perché senza inganno non c'è più magia.

domenica 13 marzo 2011

Pensiero Numero Sei.

Mi piace quando mi guardi.

La notte accoglie i passanti che danzano col vento, hanno il malto in bocca e il cuore sgonfio
La luce cola lungo le strade in pozzanghere bianche
E poi io alzo gli occhi e trovo la città sulle ceneri dei nostri sguardi
Sorge con un po' d'insolenza in torri arroccate lungo la vena dei ricordi, mattoni e parole a costruire lo stesso decadente edificio, arancio e nero.

E sembra la stessa identica melodia di sempre, passi incerti lungo una linea tratteggiata, dove ti portano tu proprio non lo sai..
Però mastichi un sorriso e bevi un po' di risa e non ti sembra così lontana l'alba tutto a un tratto l'unica cosa nitida in mezzo al serpente nero e bianco è una mano stretta e un volto e magari vorresti fermarti e prendere fiato ma ogni angolo cieco ti stringe e s'attorciglia alla coda dell'occhio sbatti le ciglia e un palpito di cuore e ti inoltri nel secondo successivo senza mai voler davvero lasciare l'ultimo senza mai voler davvero dimenticare ciò che brucia sulla punta della lingua in mezzo al petto sotto il ventre mai.

                                                                                                            ..tutto ciò che resta.
                                                                                                            Resta.
                                                                                                            Qui. In fondo al mio cuore sporco..

domenica 27 febbraio 2011

Pensiero Numero Quattro.

Il Pensiero Numero Quattro si spezza in quattro parti. La quarta è la seguente:


Ultimo.
Domenica mattina, il sole è solo un disco incandescente appiccicato a una superficie piatta color grigio topo, tinta unita, segnata dal motivo disarmonico delle punte dei palazzi e dei grattacieli stagliarsi chiari e immobili. Ti ritrovi con il naso schiacciato contro il vetro freddo delle finestre ad offuscare il panorama con l'alone dell'alito. E che alito. Anche la pancia è schiacciata contro la finestra, la pelle nuda e sudaticcia, emana un odore pungente. E che pancia. Mi passo una mano tra i capelli, ciocche unte che riposano schiacciate sulle tempie e sulla fronte, nascondono le orecchie e solleticano il collo. Una volta avevo i capelli neri e folti, iper curati, iper morbidi, iper pettinati. Passavo ore davanti allo specchio a sistemare i particolari del volto, un punto nero di qua, un pelo di la, la mosca, le sopracciglia, cosa posso fare per le occhiaie, la crema idratante, il dopobarba. Avevo le mani perfette, senza tutti quei pelacci neri che toglievo accuratamente, senza le unghie sporche e mangiate, con la mia seduta settimanale dalla manicure, le mie lampade, la palestra e tutta quella verdura e i risparmi per comprare vestiti eleganti, profumi costosi, per riuscire ad affittare un loft con un certo stile, un orologio da vero uomo, per poter offrire tutte quelle cene, e bere con gli amici, e le vacanze lampo da una parte e dall'altra, le foto ricordo, e si è giovani per sempre. Una vita passata a fare un lavoro di merda per poter avere i soldi per poter comprare la roba che ti piace. E intanto i tuoi coetanei studiano, si fanno una cultura, dicono cose interessanti, perdono tempo in attività terribilmente affascinanti e inutili, prendono una laurea e le ragazze le hanno lo stesso anche senza i vestiti firmati, e ne hanno avute molte di meno di te ma poi si sono sposati, e alla fine ce l'hanno fatta con un po' di fortuna, hanno una casa e un paio di bambini ed escono molto meno spesso, e hanno molto meno tempo da perdere con te e tu ti ritrovi solo nel tuo cazzo di loft da scapolone e improvvisamente ti viene meno la voglia di tenerti in forma. Non ti interessa più una pelle perfetta, ti lavi molto meno spesso, mangi da burger king, andare in palestra è molto più faticoso di un tempo, preferisci bere di più piuttosto che farti le lampade, piuttosto che andare dalla manicure, piuttosto che comprare un profumo o un vestito nuovo, ti tagli i capelli da solo. E i pantaloni non ti stanno più, e compri dei jeans da quattro soldi e qualche camicia destinata ad essere sempre un po' unta, una cravatta moscia e depressa da aspirante suicida, la sera non esci e guardi la tv, ogni tanto vai a cena dai tuoi amici, con le loro mogli e i loro figli, e ripensi a quella ragazza che ti piaceva dal liceo. Amy. Ripensi a l'unica storia ufficiale e seria della tua vita, a come sei stato vile ed egoista, a come l'hai persa e con lei un po' di fiducia in te stesso. A tutte le ragazze che hai avuto, al senso che non c'è mai stato, al vuoto la mattina, alle volte che hai detto “vattene via”, al presente che invecchia e sa di polvere e ti ritrovi a piangere rannicchiato tra le lenzuola sporche tutte le sere finché non decidi che fa lo stesso, un senso lo troverai, prova a inventarti qualcosa, inizia a scrivere. E non importa se ciò che esce dalla tua penna sarà il frutto marcio dei film che sai a memoria, non importa se avrai graffiato pagine e pagine di parole bizzarre e immagini sconnesse come il profilo spezzato di un pugile, in lotta perenne con il perenne fiatone, tutto quel sudore e il cuore che pompa a mille e ti sforzi e prendi a pugni il vuoto nella speranza di spezzare la realtà come fosse uno specchio, perché dietro a quel ciccione di merda c'è un uomo, dietro a quelle occhiaie ci sono esperienze incredibili, devi solo rompere la superficie, CRAC!, devi solo rompere la superficie e scoprire che dall'altra parte c'è un idiota di mezz'età che ti sta tirando un pugno in pieno viso. E ti fa male. E ti ritrovi schiacciato contro una finestra con una puttana stesa sul letto, sporco e vecchio, con l'odore di vomito ancora sulle labbra e un cerchio alla testa. Dovevo scegliere l'innocenza. Dovevo chiamare assistenza per Julia. Dovevo sposarmi con Amy. Dovevo andare all'università. Dovevo leggere di più. Dovevo abbracciare più spesso mia madre. Dovevo essere più obbediente. Dovevo provare ad essere buono. Dovevo provarci.
Dovevo scegliere l'innocenza.

E invece eccomi qui, sull'altare del mio egoismo a voltarmi verso Nancy, Nandy, Sandy o come diavolo si chiama e svegliarla bruscamente dicendo «Pensi di avere finito?» con una voce che non so da dove mi esca, e le butto a terra i suoi soldi, e gliene butto a terra altri e le dico «Voglio finirli tutti, capito?» e lo dico con una faccia che non so da dove mi salti fuori. Voglio toccare completamente il fondo, voglio finirla con questa storia del cazzo, voglio sdraiarmi sul fondo, guardare su a pancia all'aria e gridare «Almeno io ho il coraggio di guardare in faccia le cose!». Voglio far vedere al mondo chi è il più bastardo, chi è che ha le palle, chi è che accetta il proprio presente senza frignare. Tutti pieni e farciti di falsità e apparenza, tutta ipocrisia e sorrisi bianchi e mega schermi al plasma, e beneficenza e carità e speranze per il futuro e siamo tutti unici e meravigliosi e importanti e ti vogliono bene ti vogliono bene ti vogliono bene ti vogliono bene ti vogliono bene CAZZATE! Non sei niente, non sei nessuno, e adesso ti scopi questa ballerina e non pensi ai soldi, non pensi a cosa è giusto e cosa non lo è. Adesso ti comporti come nessuno ti ha mai insegnato a fare. Adesso diventi autentico. Fanculo l'amore.
E io la fisso così, con i miei occhi pieni di ferocia e privi di pietà, il petto gonfio e il sangue che ribolle sentendomi sempre più vivo ad ogni secondo che passa. Sentendomi vivo come non mi sono mai sentito in vita mia, sto per rompere gli argini, sto per fare una di quelle cose che alcuni chiamano “peccato”, e non vedo l'ora che alzi lo sguardo e veda me, in tutta la mia imponenza e fermezza, senza l'ombra di incertezza o esitazione. Tutto d'un pezzo per la prima volta in vita mia. E finalmente mi guarda.
È ancora assonnata e solo adesso mi accorgo del suo viso senza il trucco, dei buchi scavati nelle guance e degli occhi leggermente strabici. Sorride mostrando i denti un po' storti e stiracchiandosi tra le coperte si scopre un po', quel che basta per notare un paio di brutte cicatrici sul fianco. Lo smalto è scheggiato, i capelli sono spettinati e ruffi, sembrano di plastica. Si alza in piedi senza mostrare disagio alcuno, e posso vedere i peli incarniti e i solchi della cellulite. Smagliature sul seno. Alla luce del sole sembra più vecchia di qualche anno, sempre prorompente e magra, ma adesso le linee del suo corpo sono più spigolose e dure, asimmetriche. Muscoli definiti, ma ossa troppo grosse, gambe troppo corte, spalle troppo spioventi. Che coglione. Sia maledetto l'alcol! Dannate luci rosse! «Prima però baby, devo chiedere a un'amica se può tenere ancora mio figlio..» che ti aspettavi Ben? Quelle belle non vanno con i poveretti come te. Rimango immobile e improvvisamente mi viene voglia di piangere. Nadia, Mandy o come diavolo si chiama si volta e fa «Tutto okay cucciolo?» e io mi copro la faccia con un braccio, strappando via tutte le lacrime dagli occhi. Tiro su con il naso e le faccio «Vattene via.» con una voce che non ha niente a che fare con quella di prima. Quella annuisce e inizia a rivestirsi. Io rimango immobile e continuo a coprirmi il volto, ma più trattengo le lacrime più mi manca il fiato e inizio ad ansimare, la gola è piena zeppa di benzina, prende fuoco e mi brucia il viso, ogni sospiro è un basso mugolio che sfugge contro la mia volontà. Brandy, Suzy o Kathia si china a raccogliere i soldi e se li ficca in borsa mormorando un «Ciao..» prima di uscire chiudendosi la porta alle spalle. E io posso finalmente scoppiare.

Chiamo Julia, ho la voce rotta e il naso paonazzo. Tu, tu, tu, chhrc «Prrrronto?». Mi schiarisco la gola. «July? Vieni qui per piacere?» «Ben sei tu?» «Non mi sento tanto bene.. io.. vieni qui?» e lentamente ricominciano a scendere i lacrimoni sulle guance, rotolano come massi incandescenti. «Stai piangendo?». Silenzio. Inizio a singhiozzare e tiro su col naso. «Oh, Julia, aiutami ti prego..». Silenzio. Click. Tu, tu, tu, tu. Ha riagganciato. Sta venendo qui. Lo sapevo che su di lei potevo contare, la mia piccola July, cosa farei senza di lei? Mi sento avvolto da una sensazione di calore al pensiero di poterla abbracciare, delle sue mani che asciugano le mie lacrime, delle sue labbra contro la mia fronte, e i suoi denti perfetti e i suoi capelli biondi splendere per me e me soltanto. Posso rialzarmi in piedi se solo mi tenderà la mano. Io lo so, lo so che sono una persona migliore, lo so che posso essere felice con lei, io so che nell'esatto momento in cui entrerà da quella porta sarà come se non fosse mai successo nulla. Julia definirà tutto, incastrerà l'ultimo pezzetto del puzzle, sistemerà l'ingranaggio che non funziona. Perché ci amiamo. Perché dopo tutti questi anni è questo quello che mi merito, no? No. Non sta venendo qui. Dopo due ore e mezza sul pavimento mi rendo conto che ha riagganciato e basta. Tiro su la cornetta e digito il numero una seconda volta. «Julia ascoltami..» «No! Tu ascoltami bene.. non chiamarmi più!» «Ma perché?» «Perché non mi hai più chiamata! Idiota!». Click. Tu, tu, tu, tu. E improvvisamente mi sento infinitamente stanco, e nella testa non fanno altro che ronzare i perché? come mosche su un mucchio di merda, il mucchio di merda che mi riempie il cranio, che mi esce dalla bocca. Io sono uno stronzo. Eppure non mi convince affatto. Tutte le parole dette, i sei bella, ti amo, tutte le carezze e quei gesti come se fosse la cosa più importante per me, ti chiamo dopo che già mi manchi, e poi quarantottore di silenzio. Sono uno stronzo. Eppure non mi convince affatto. Sono piccolo, meschino, egoista, sono un approfittatore bugiardo, faccio schifo. Eppure non mi convince affatto.
Stanotte ho vomitato sul divano mentre stringevo i fianchi a una puttana.
Eppure non riesco veramente a provare vergogna.
Ed è proprio per questo che continuo a piagnucolare e non vado a lavarmi, e non sistemo casa. Io sono esattamente al centro della mia vita, sono qui.
Sono qui. Spalmato a terra in un angolino con il culo freddo a contatto con il pavimento e mi faccio una gran pena, e mi piango addosso. Eppure striscio verso la scrivania, mi siedo, prendo in mano una penna e guardo un foglio bianco. Ho le mutande bucate, puzzo, la mia pancia è una mozzarella bianca. Eppure non mi vergogno.
E, sapete che vi dico?
Inizio a scrivere.
 

giovedì 17 febbraio 2011

Pensiero Numero Quattro.


Il Pensiero Numero Quattro si spezza in quattro parti, la terza è la seguente: (p.s. mi sono cimentata in scene "hard" u.u quindi se vuoi ridere, leggi, se non vuoi piangere allora evita)

Terzo

Se per caso mi fossi dimenticato di dirvelo, io ho un'amica. Si chiama Julia. Esatto: è proprio quel tipo di amica, quella che non presenterete mai ai vostri genitori, quella che vi sta ad ascoltare da anni e che non vi ha mai giurato fedeltà. Quella che pensate d'amare di tanto in tanto, quella che ancora vi guarda negli occhi e dice «Sono azzurri.». Sono a casa di Julia e mi sta preparando una tisana al non-so-cosa-calmante, modula la voce in un “mmm” rilassante simile a una ninna nanna, e di tanto in tanto si volta verso me sorridendomi gentile, senza chiedere mai nulla. Lei mi conosce, sa quando non voglio parlare, per questo non dice niente. Io sposto lo sguardo dal suo sedere magro ai vasi sugli scaffali, ai piatti appesi ai muri, ai barattoli di sale, zucchero, cacao, caffè sulle mensole, al suo sedere magro, alla tovaglia da contadina, al bianco sintetico delle seggiole di finto legno, alle mattonelle tirate a lucido, alle tende gialle alle finestre, al suo sedere magro. Toc. Tisana calda e fumante davanti a me, e le sue dita sottili ritrarsi dal manico lasciando impresse sulla retina le unghie laccate di rosso. Lo stesso rosso del rossetto che le disegna le labbra senza sbavature, anche alle quattro e trenta del mattino. Ho addosso una coperta, per il resto sono in mutande: non mi andava di indossare quella sottospecie di tuta ultraspaziale da soccorritore, lei invece ha una vestaglia nera e lucida che le taglia a metà le cosce ed è scalza. Io sono sudato e puzzo di vomito, lei ha i capelli ancora in piega dalla mattina scorsa, le coprono le spalle in onde che ne vedi anche la spuma. Cazzo, ma come fa ad essere reale? «Ma tu passi tutto il giorno a truccarti?» Julia si volta e sorride stringendo tra i denti una risata «Lo sai quanto ci tengo ad essere perfetta, Ben.» È più sincera di quanto si sia disposti ad ammettere possa essere una Bionda. «Esci mai ogni tanto?» E porto la tazza alla bocca. «Oggi in tv c'erano un sacco di programmi interessanti, e poi dovevo allenarmi, e pulire la casa, e ho persino fatto un dolce!» La tisana mi ustiona la punta della lingua e aggrotto la fronte appoggiando la tazza sul tavolo. «Eh, si vede che culo che hai messo su..» Lei scoppia a ridere portandosi una mano alla bocca, non diventa rossa, non ci riuscirebbe mai. Una volta non era così, giuro. Una volta era una persona viva. Le hanno fatto fuori il marito l'anno scorso durante una rapina in un supermercato e da allora si è tinta di biondo e ha cominciato a far finta di essere la donna perfetta nella casa perfetta con la vita perfetta. E in quanto ad apparenze ci riesce benissimo: non si trova una foto di lei e Robert, il tizio morto, né una foto di Robert. Non ci sono libri di Robert, non c'è un letto a due piazze, non ci sono mobili montati da Robert, li ha venduti e ne ha ricomprati di nuovi. È la casa di una ragazza single e sexy, una di quelle che si portano a casa due uomini alla volta, la Barbie per eccellenza. Solo che non si porta a casa nessuno, perché non esce di casa. Perché non telefona a nessuno. Perché la fuori c'è ancora qualcuno che le chiede come sta, e lei allora risponde «Come sto cosa?» «Beh.. ora che sei sola.» «Io non sono sola.» «No ma dico, ora che non c'è più Robert.» e allora sorride, gentile, e le vedi il mondo infrangersi dietro gli occhi, si spaccano gli oceani e inondano il fondotinta con colate di mascara. Si tampona gli occhi con un fazzoletto candido e sospira un «Robert chi?». Lo ha cancellato, almeno ci ha provato. A voler essere sinceri credo che Julia abbia la passione per il melodramma: insomma, non era certo l'amore della sua vita! Come poteva esserlo se era da tre anni che due sere a settimana mi infilavo sotto le sue lenzuola strappandole di bocca tutto ciò che Robert non aveva mai udito da quando stava con lei? E credete a me: non è certo bastato un lutto a cambiare le cose tra noi. «Allora che cosa vogliamo fare?» ammicca dietro il tavolo arricciando l'angolo della bocca. Penso al vecchio rimasto, penso al primo e al secondo uomo. Mi alzo stringendomi la coperta addosso e sospiro un «Sono stanco baby.». Lei annuisce con aria comprensiva, con l'aria della donna oggetto sempre pronta a dire di si, non mostra un'ombra di reazione e si limita a portare la tazza alle labbra prendendone un sorso silenzioso. Chissà se è ancora come me la ricordo dietro quella maschera di fondotinta e terra. Mi fa così tanta tenerezza che le dico «Ti amo.» lei alza lo sguardo interrogativa e inarcando un sopracciglio dice «Non stiamo facendo sesso, Ben.». «Lo so.» e mi avvicino al suo volto impietrito chinando il capo, lasciandole un bacio leggero sulle labbra, facendo attenzione a non sbavarle il rossetto. «Io non ti voglio sposare.», lo dice come se fosse a disagio. «Io ogni tanto ci faccio su un pensierino..» e lei mi guarda con gli occhi a palla. «..poi però mi ricordo che fine ha fatto Bob, e allora penso che vorrei sposare una donna che non cancelli i segni della mia presenza dalla faccia della terra, una volta morto.» «Bob?» «Non fare finta con me, non serve: ti amo. E volevo bene a Bob. Era il mio migliore amico.». E Julia scoppia a piangere.

Puoi passare cinque ore a consolare una donna, una donna che ti vuole bene, puoi passare cinque ore a consolarla e abbracciarla e riempirla di baci. Ma la sera dopo, quando ti svegli, quello che rimane di lei è solo mascara sbavato sul collo e qualche macchia di rossetto sulla pancia. E mi ricordo di quello che stavo facendo sul serio. Mi dico, Ben: hai deciso che l'amore lo lasci agli sfigati, tu devi cercare qualcosa di forte, devi cercare emozioni allo stato grezzo. E mentre ripenso a Julia e alla morbidezza della sua pelle penso che forse dovrei provare a cambiare aria. Dovrei provare a depurare l'amore dalle emozioni. Lavarle via con forza, come panni sporchi, togliere tutte le macchie e le incrostazioni d'affetto. Et voilà: il candido splendore di una sensazione allo stato puro, incontaminata, non corrotta, nuova. E decido che voglio cercare le parole profumate della notte e dell'alcol, voglio cercare le parole amare della coca e del gioco, voglio riempirmi la bocca di parole sul sesso, sulla carne e sulla voglia. Sì Ben, questo il pubblico lo ammazza, la gente consumerà le pagine a forza di leggere! La verità è che c'ho una gran voglia, ma di tornare da Julia non mi va. Mi faccio una doccia, l'acqua bollente e il sapone sciolgono lo sporco e il senso di colpa. Lei tradiva Bob, cazzo, Bob era il mio migliore amico. Ha cancellato Bob dalla faccia della terra. E poi tradiva me, cazzo, con Bob, e ogni tanto anche con qualcun altro. Adesso raccolgo tutto lo schifo di questa storia e lo trasformo in un dipinto sgargiante sulla vita vera, su ciò che di vero c'è: sul piacere. C'è chi mente a sé stesso e chi va a vedere un po' di carne ballare a pagamento. Io proprio non so quale sia la meno peggio..
Ben tu sei uno scrittore! Tu cerchi il nuovo, tu ti fai di esperienze! E stritolo ogni rimorso tra i denti della zip. E lo calpesto sotto ogni passo verso il primo night club. Lo spazzo via aprendo la porta, lo ignoro nel frastuono della musica e delle chiacchiere. Lo bevo in un bicchiere di birra, seduto al bancone, guardando una ragazza in perizoma far ballare le tette davanti a un uomo di mezz'età proprio come me, con gli occhi a palla e il ghigno divertito e godereccio. Proprio come me. «Un altro giro?», mi volto di malavoglia e incrocio lo sguardo del barista: gay. Annuisco e mi stringo il nodo della cravatta, penso: sembro proprio il tipico frequentatore di locali come questi, sembro il tipico capofamiglia uscito dal lavoro che quando tornerà a casa dalla moglie grassa e depressa le dirà che ha fatto tardi in ufficio. Che non se la scopa da una vita, Gesù, e chi lo farebbe? Mi sento improvvisamente a mio agio. Dopo la quinta birra decido di essere abbastanza in forma per gettarmi nella mischia e mi alzo dallo sgabello prestando attenzione a dove metto i piedi. La musica è a volumi inauditi, è l'ora di punta e le ragazze sorridono aggrappandosi al palo, strusciando ogni centimetro di pelle. La luce è rossa per coprire i lividi e le punture sulle braccia. Puttane tristi e drogate al mercato della carne gridare a squarciagola una cifra a due zeri. Questo lo so e mi sento una morsa allo stomaco. Quello che mi sta accanto allunga un paio di banconote e una rossa si avvicina afferrandole con un sorriso brillante. Stringe il seno tra le mani e allarga le gambe piegando le ginocchia sui tacchi dodici. Giù. Mi volto dall'altra parte portando una mano a coprirmi gli occhi. Quello dice cose. Poi non resisto, e torno a spiarli senza dare troppo nell'occhio. Lei sembra un corpo aperto a metà, sembra la sezione di un mammifero in laboratorio. Non riesco a smettere di guardare e sento una stretta allo stomaco. Vai via, vai via, vai via, e il cuore mi batte all'impazzata quando una mora mi si avvicina facendomi l'occhiolino. Sono schiave, Ben, sono schiave e sono probabilmente maltrattate e picchiate. A loro non piace. A loro non piaci. Ben, ragiona Ben, cosa sei venuto a fare qui? E quasi quasi l'immagine di Julia aggrapparsi al tavolo in un crollo nervoso mi intenerisce il cuore. Come posso farle questo? Le ho detto che la amo, e non stavamo facendo sesso. L'ho abbracciata e stretta per ore, l'ho ascoltata e l'ho baciata e poi abbiamo fatto l'amore. E la mora ora sta proprio sopra di me, con queste gambe, queste colonne che sorreggono il paradiso, e si muove così bene, ed è così bella, e le labbra carnose sorridere compiacenti sporgere sopra curve troppo alte, troppo morbide, troppo invitanti. Pensa a Julia che ti guarda negli occhi e dice «Sono azzurri.», pensa a Julia che ti ascolta anche quando dici cose stupide e noiose. Pensa a Julia che ti ama, ma che ancora non lo sa. Si china, e le ciocche dei suoi capelli neri mi sfiorano la fronte. «Vuoi vedere quanto sono brava a ballare?» e io dico «Come no.» e lei fa «Vuoi che balli per te?» e io «Tutta la notte.».

martedì 15 febbraio 2011

Pensiero Numero Cinque.

(Non mi sono dimenticata del Pensiero Numero Quattro, questo è solo un intermezzo deprimente e mal riuscito)

 Chino il capo. Un soffio di capelli scivola sul viso splendendo nel vuoto. Mani sul ventre, si intrecciano le dita tra pensieri e pelle, scavano a fondo nelle memorie, tra le costole. “Cosa fai li tutta sola?” Mezzo sguardo d'ombra le cade addosso come fosse pioggia d'estate, freme facendo scivolare le dita lungo le braccia, a lavar via l'acqua di quegli occhi scuri. “Come faccio ad essere felice?” Parole come ampolle di cristallo cadere morbide dalle labbra rosse, s'infrangono a terra in manciate di secondi silenziosi. Un sorriso sconcertato sul volto del ragazzo. Un passo, due passi verso di lei, lei ancora china sui cocci muti, ancora aggrappata a sé stessa, concentrata solo sull'ombra. “Non sei felice?” E la luce taglia via un riflesso sanguigno dagli occhi intimoriti affacciati su quella figura fragile spargersi lentamente a terra. “Sì.. lo sono”. Pone le mani al suolo cercando invano di trovare i bordi della sagoma scura sul pavimento, grattando via il silenzio dalle mattonelle. “Cosa fai?” Sorride triste. “Non vedi? Sto cercando di trovare i confini del mondo.. dov'è che finisce il dolore? Dov'è che finisce la vita?” “Smettila, e guardami negli occhi”. Allora alza il volto. “Contento, adesso?”. Silenzio. “..scusa”. Prende fiato, trascinandosi le braccia al petto inarca la schiena seguendo la curva del sospiro e distendendo le gambe. Ora, finalmente in piedi, lo guarda. Dietro le ciocche scure dei capelli il fioco baluginare di uno sguardo perso, di uno sguardo sporco. “Come faccio ad essere felice, come? Dimmelo, ti prego, come?”. “Ma tu sei felice..”. “Solo perché mi sono dimenticata..”. “Cosa?”. “Di tutto. Di tutto. Mi sono dimenticata della fine del mondo. La fine del mondo, capisci? C'è una fine..”. Allarga le braccia come raggi di un fuoco vivo, pronte a divorare un corpo, pronte a stringere e bruciare e far male, pronte a stringere da far male. E fan male, la stringono e fan male, tutto quell'amore da far male. Tutto quel corpo da bruciare e stringere, piccolo e freddo, da divorare in un abbraccio, bruciare il male.“Fai male..”. “Anche tu.”.
“Ma dimmi tu.. dimmi tu ora come faccio io, dimmi come ci riesco? Come fai a vivere quando tutto l'amore lo seppellisci? Quando il mondo va avanti, e tu non sei mai esistito, e io sono solo la polvere di anime vissute migliaia di anni fa? Come faccio a convivere con questo, io? Io.. non ci riesco. Perché per me è importante, è importante voler bene a qualcuno, e non può finire, non può..” Silenzio. “Mi distrugge l'idea che con me morirà il mio amore”. Silenzio. “Mi distrugge l'idea che non ho valore, perché allora non vale il mio amore”. Silenzio. “Mi distrugge l'idea non c'è niente dopo, perché allora non c'è niente prima”. “Silenzio!”. “Io voglio solo dire che ti amo e questo deve avere senso..”.

“Silenzio, silenzio, silenzio.. ssht, stai zitta, ti prego stai zitta.”
La stringe.
“Dimmi, dimmi come faccio adesso?”
La stringe.
“Stai zitta, non dire, sta zitta.”
E la stringe.
“Sto zitta, io sto zitta..”
Lui la stringe.
“Silenzio.”
E la stringe.
“Shht..”
E stringe.
“Non dire niente.”
Silenzio.
Non dice.
Sta zitta.
Lui la stringe.