lunedì 11 luglio 2011

Pensiero Numero Nove.

Solleva lo sguardo sulla punta delle ciglia esalando una sottile spirale di fumo. Il cielo è li, a farsi accarezzare dalle mani invisibili del pensiero, pizzicato nelle corde profonde sembra avvolgerti come una melodia, un dolore strano che ti bacia leggero e azzurro sulla punta delle dita.
-Ho sempre pensato che il tutto -lungo tiro dalla sigaretta- assuma valore grazie al nulla, -ora esala dalle rosee narici- per questo la vita non avrebbe senso alcuno, se non finisse ad un certo punto.
Lei si volta e ti rivolge due occhi immensi e neri che mangiano via il mondo, poi si stringe nelle spalle riportando il filtro tra le labbra, avvolgendo un respiro velenoso nel petto che s'alza e poi s'abbassa. Sorriderle è la risposta a tutte le parole che si lasciava sfuggire dalla bocca, come farfalle spuntare da un cespuglio fiorito e sparpagliarsi lungo le fila del vento.
-Per questo la mia malattia ti permette di essere sano, Stefano.
-Ma tu sei sana come un pesce.
-Io sono. E questo mi basta.

Mia, Mia che dorme. Arroccato il volto tra la spuma dei capelli, faro in quel mare scuro e tempestoso si contrae in un filo di tensione e si distende trasudando da un respiro. Le mani si avvitano lungo spirali contorte, si nascondono tra le pieghe candide delle lenzuola e scavano, spingendo dure le dita contro il tessuto leggero. È un corpo che si schiude aprendo i petali di rosea pelle, il ventre molle e indifeso, le braccia tese verso il buio, poi esplode in un sussulto che si stinge al petto, gambe rannicchiate, il volto nascosto tra le ciocche dei capelli. Grida e con quel grido scopre il petto, offre la gola, scalcia e stringe per poi alzarsi, di scatto, occhi bagnati e lenzuola sparse tutt'intorno.
-Mia..
E nello sguardo opaco intravede un'ombra evaporare gelida, fuggire silenziosamente. Qualcuno che corre tra le porte, pensa, un uomo che corre tra le porte.
-Qualcuno che corre tra le porte..
-Un ladro?
-No.. certo che no..
-Vieni qui.
-Sta cercando me.. ma non mi vede..
-È un incubo.
-Appunto..
Insinua le braccia, come il pensiero, sotto la pelle, tra le lenzuola, abbracciando quel corpo nel buio, quel petto che non vede, quell'uomo invisibile che le offre riparo. Lo può toccare, lo può stringere, baciare. Lo ama, eppure nel buio non lo vede.

Puoi vedere il mondo intero, lo rigiri nei suoi segreti, apri tutti i cassetti e li ribalti.. l'oceano non è che un foulard turchese soffiato via dal vento, la pioggia una collana di perle che si spezza, sugli scaffali del mondo trovi tutte le sue meraviglie racchiuse nelle città, come porta gioie, come scatole di cartoncino color pastello, astucci, e il vento è una fiala di profumo che non puoi fare a meno di sentirti addosso. Però il cielo non lo trovi, il cielo.. quello non ci sta nemmeno in uno specchio, nemmeno sotto le tende di una finestra, nemmeno oltre la finestra.
E così, con le palpebre un po' pesanti per tutto quel guardare e due borse di ricordi sotto gli occhi, cammini lungo il prato, una sigaretta in bocca e una reflex automatica al collo. Scatti una fotografia senza farci caso, ti piacciono alcuni colori e prima di renderti conto di che cosa siano: tlak!, una lama nera recide quell'istante dal mondo, un taglio sottile e netto sul tessuto del tempo, un segno. Li hai presi, li hai fatti tuoi senza pensarci e poi quando sviluppi la pellicola te li ritrovi davanti.
Ecco il cielo, ecco dove si nascondeva: tra la guancia e l'angolo delle labbra di una donna.
È bellissima, un sorriso meraviglioso che neanche avevi notato. E l'hai già vista, da qualche parte, ma non ti era mai sembrata così. Con quei capelli mossi e scuri, la pelle chiara e gli occhi immensi e neri. Il vestito leggero, cangiante, colori vivi, le mani impegnate ad accarezzare un volto giovane e rilassato. Quelle labbra tanto scure, quelle labbra.
Poi ricordi. È un'amica di un amico incontrata ad una festa, una ragazza molto giovane, lei rideva e tu l'avevi guardata in tralice perché avevi il mal di testa. L'avevi offesa, glielo si leggeva in quelle sopracciglia aggrottate e quell'improvviso mutamento d'espressione. Non era una festa no, era una mostra, una delle tue mostre di fotografia. Lei rideva e tu l'hai offesa.
Stefano continua a guardare quell'immagine e cerca la ragazza per le strade della città, i parchi, le chiese, i supermercati, le gelaterie, le piscine, i teatri, i cinema. Poi capisce. Si chiude in casa a lavorare per giorni e giorni e giorni, quando esce sorride e dopo qualche mese eccola li la sua mostra fotografica.
Il cielo immenso su tutta la parete.
È terrificante, così grande e così bella, così vera. E se ne sta li, davanti a lei, in attesa che lo raggiunga. Come poteva non funzionare?
Stai attraversando la strada con la mano stretta in quella del tuo ragazzo, una busta di vestiti nell'altra e il semaforo giallo lampeggiante, e lui si ferma in mezzo alle strisce con l'aria sbigottita. Inchiodato. Sussulti cercando di intimarlo a spostarsi e lui di tutta risposta ti dice
-Ma quelli siamo noi!!
E sta guardando un manifesto, uno dei tanti, una mostra fotografica e il tuo viso, e sotto anche il suo, ma quello che vedi è solo il tuo viso. Il rumore dei clacson ti piomba improvvisamente addosso.

-A volte non capisco. Rimango con il fiato in petto e non vorrei mai buttarlo fuori. Vorrei riuscire a trovare le parole, ma non ci riesco, e continuo a sprecare tutta quell'aria. Sono così concentrato sul come dire che diventa sgradevole persino respirare. Io sono fermo immobile e tu sei ferma immobile, ci stiamo guardando negli occhi e ti sfioro la punta del naso con il mio, siamo abbracciati e c'è silenzio. Vorrei capire che cosa mi succede, vorrei capire cosa sta nascendo dentro me che mi fa sentire così. Come se non ci fosse corpo, come se non ci fossero occhi, stanze, silenzi, tempo. Solo noi e neanche noi. Come se avessi trovato il punto di simmetria dell'universo tutto. La perfezione dell'infinito in quell'abbraccio che va oltre la mia vita e la tua vita, che si perde in noi, che siamo noi, che siamo noi che ci perdiamo nell'infinito, che sei tu e sono io, e tu sei me e io sono te e non c'è bisogno d'altro. E quello è il mio posto, il luogo della felicità vera, quello che inseguirò per il resto della mia vita.

-Passo la metà del tempo a dirti cosa sento, cosa provo, passo la metà del tempo a raccontarti di te, chi sei, cosa mi fai. Non posso fare a meno di parlare di una cosa così, di te, no? Come fai a smettere di parlare della dolcezza, del cielo, del mondo, come fai? È come se non avessi visto mai nient'altro prima che arrivassi tu.

Cade la cenere sulla punta della scarpa, la lascia lì, giace immobile. Neanche un filo di vento. Quello che le sta attorno sembra sia stato appoggiato li, non è destinato a durare, solo capricci del destino che si dimenticano qua e là una manciata di dettagli. Eppure questa volta stanno così bene assieme, creano un quadro stupendo. Ma qualcuno tornerà a prenderseli, il legittimo proprietario. La notte riporrà il sole in tasca, la siccità si prenderà via l'erba, l'autunno troverà tutti quegli odori e li terrà per se. E Stefano? Chi si verrà a prendere Stefano?
-Perché un uomo dal cuore distrutto è disposto ad innamorarsi di una ragazzina?
Lui è appoggiato sulla sedia, una mano sulla fronte, le dita sfiorano le ciocche brizzolate. Gli anni che li separano sono così evidenti. Oggi è stanco, tiene gli occhi socchiusi, quel tanto che gli basta per scorgere appena il volto di Mia.
-Spirito di sopravvivenza, credo.
-No. Autolesionismo. -un altro tiro alla sigaretta- Perché ti sei innamorato di un momento di me, ti sei innamorato di un attimo. Di un sorriso. Di una cosa che non avevi visto prima. Di un'idea o un'emozione o chiamala come ti pare. Tu non mi conosci veramente, credi di conoscermi, ti sei illuso di conoscermi e -esala un sospiro grigio e denso- ami questo di me. -pausa, immobile- Non ami me. Ami qualcosa di me. E lo sai, e questo ti distruggerà. Com'è già successo, come accadrà sempre.
Ora chiude gli occhi, quegli immensi occhi neri che si mangiano via il mondo. Le ciocche scure e ondulate sfiorano la pelle candida, lunghissimi capelli lucidi e morbidi. Indossa un vestito leggero, come il suo tono di voce, un vestito di seta colorata, largo e fresco sotto il quale scompare, pelle e ossa, pelle e seta. Stefano guarda le labbra di Mia rapito da quelle parole, dalla tortuosità del pensiero contorto, dalla follia lucida e irrazionale di quel discorso. Potrebbe dirti che ti odia e lo farebbe con tutto l'amore del mondo. Lui sorride, come sempre, e le chiede
-Perché?
Lei aggrotta le sopracciglia, un po' arcigna apre gli occhi, lo guarda a lungo stringendo le palpebre e poi sbuffa qualche nuvola di fumo.
-Perché quella foto.

Lui è li, ben piazzato sulle gambe, a braccia incrociate sul petto. E l'aspetta. Indossa una camicia di lino bianco perché è estate, stringe una sigaretta fatta a mano tra le labbra, capelli raccolti in un codino. Ogni tanto qualcuno timidamente gli si avvicina, lui dà un'occhiata e poi torna ad ignorarlo come se non esistesse. Nessun ospite durante la serata riesce a scambiarci una parola, non risponde neanche alle domande per non perder tempo, per non lasciarsi distrarre. Sta aspettando, ha detto, sta aspettando una ragazza. La ragazza della foto. E improvvisamente si sparge un brusio incuriosito per tutta la galleria e il giornalista finalmente inizia a tirar giù una bozza per l'incipit della sua recensione. Curiosi si avvicinano a guardare meglio, magari la conoscono. Qualche donna incredula inarca il sopracciglio sorpresa dalla mediocrità del soggetto, scrolla la sigaretta, dà un sorso al suo Martini e poi se ne va borbottando un
-Così ordinaria..
Stefano durante tutto questo tempo ha frugato tra i suoi ricordi, quelli più sciocchi, e ci ha trovato dentro Lei altre volte ancora. Dettagli inutili, atmosfere insipide, nulla di memorabile, nulla di sensato. Poi quel pomeriggio, quei colori in mezzo al verde, quella posa così leggera.. il sorriso. Il cielo.
Poi una mano gli si appoggia sulla spalla, un paio di leggere pacche sufficienti ad irritarlo, si volta con una sottile ruga a solcargli la fronte e se la ritrova davanti.
-Sai per caso chi ha scattato questa foto?
È maledettamente giovane. È probabilmente confusa e per questo arrabbiata, perché è così che reagiscono alla confusione le persone insicure. Ha due occhi immensi che lo fissano con un'intensità a cui non era affatto preparato.
-..io?
Sussurra alzando appena le sopracciglia. Quella si avvicina un po' di più, allunga la mano portandogli via la sigaretta dalle labbra e se la fuma, senza staccargli lo sguardo di dosso. Lo fa in modo così elegante che sembra quasi una carezza.
Qualcuno inizia ad accorgersi dell'improbabilità della situazione, ma il tutto viene rotto da una voce maschile chiamare forte
-Mia! Mia!
Mia non si muove.
-Ti piace?
-Che cosa?
-La fotografia.. -ora si volta appena, indicando la parete ricoperta dall'immensa gigantografia- l'ho fatta io e.. sei tu quella li.
-Lo so.
-E allora perché sei venuta?
-Perché il mio ragazzo se ne è accorto e ha insistito.
-Insistito per cosa?
-Per venirti a chiedere il perché.
-Il perché di cosa?
-Appunto! Non lo so. Io non volevo venire qui.
-Non volevi venire..
-No, non sapevo cosa chiederti. Cosa dovrei chiederti adesso che so che sei tu? Dovrei chiederti il perché mi hai scattato una fotografia? Il perché sia il soggetto principale della tua mostra se ci sono opere esposte qui molto più belle? Perché hai ricoperto la città con i volantini? Dovrei chiederti questo?
-..immagino di si..
-E poi tu cosa mi risponderesti? Che sei innamorato di me? -Stefano impallidisce, aggrottando la fronte- Che hai fatto una foto in un parco e ti sei innamorato della ragazza sulla pellicola e non sapevi come fare a trovarla? Per questo hai appeso la mia immagine su ogni muro, per questo hai scelto questo soggetto come opera principale, per questo te ne stai fermo a fissare questo scatto mediocre quando tutti gli ospiti si stanno chiedendo cosa ci sia di tanto speciale? E poi io cosa dovrei dire? Dovrei innamorarmi di te e sposarti magari, oppure dovrei baciarti e uscire con te, o pensare che sei un maniaco, uno stalker, un drogato, un malato d'amore, un pazzo, uno sfigato..? -Stefano si sente piccolo piccolo, come non gli succedeva da una vita- La verità è che io non volevo venire qui perché non volevo farti una domanda, perché non volevo avere una risposta. -abbassa lo sguardo- Un giorno al semaforo butto l'occhio su una locandina finita per terra, sull'asfalto, e vedo il mio volto. Sai, la guardo bene, incredula, non mi sembra vero che quella li sono proprio io. Le macchine iniziano a suonare, è verde e riparto con un'agitazione addosso che non avevo avuto mai. Mi sento inquieta, perplessa, stupefatta, eccitata, come se improvvisamente tutto fosse surreale eppure vivido, forte. Passo due settimane a chiedermi perché?, a chiedermi come mai?, a chiedermi chi sei?. Ho una fottuta paura addosso. -e rialza lo sguardo- Non capisco più niente, mi sento annullata da questa coincidenza, da questo mistero, da questa sciocchezza che mi mette profondamente in crisi, eppure sono così felice.. -arrossisce- inizio a sognarti di notte, sogno di incontrarti, il tuo volto, la tua voce, lo sguardo. Sono bei sogni, mi riempiono di una gioia irrazionale e penso che vada bene così, che non posso chiedere di più perché questo equilibrio è fragile e basta una risposta sbagliata ad allontanarmi. Quindi me ne sto zitta e spero di incontrarti prima o poi, ma senza tirare in ballo la fotografia. Perché questa fotografia mi ha stravolto, questa fotografia mi ha ossessionata, è la chiave di tutto, questa fotografia mi sbatte in faccia il tuo amore e ha fatto nascere l'amore che provo per te, che neanche ti ho visto mai, se non adesso che te ne stai qui, e vorrei baciarti se solo non..
-...-
-..se solo non fosse che siamo proprio qui, che ti devo fare una domanda la cui risposta non voglio sapere, perché distruggerebbe tutto il mio amore.
Tutti adesso li fissano. Silenzio, rotto solo da un
-Mia! Mia!
E finalmente li raggiunge.
-Mia..?
-Scusa ma adesso devo andare.
E si solleva appena sulla punta dei piedi lasciandogli un bacio sulla guancia, dà l'ultimo tiro alla sigaretta e poi la butta a terra ancora accesa, così, lasciandola cadere.

Ogni tanto quando si volta lo percepisce con la coda dell'occhio, sfreccia via, sfugge. Magari capita quando esce dalla doccia, quando si guarda allo specchio, quando è intenta a seguire il filo dei suoi pensieri o sta portando il caffè nello studio di Stefano. Una volta quando era in casa da sola aveva chiuso tutte le porte, quando Stefano tornò per cena dovette aprirle tutte, con estremo stupore, fino a trovarla nel salotto che leggeva un libro distesa sul sofà.
-Perché hai chiuso tutte le porte?
-Così faccio dispetto all'uomo che scappa da una stanza all'altra.
Lui iniziò a ridere, lei pure, vagamente imbarazzata. Era sempre stata razionale nella sua follia: luci spente, porte chiuse, passò un'estate in giardino dove non c'erano ombre sfuggenti, né incubi ciechi alla sua ricerca.
Le aveva suggerito occasionalmente qualche seduta dallo psicanalista, tanto per risolvere i capricci del suo inconscio, in tutta risposta gli aveva detto che un medium era preferibile. Nel corso degli anni quell'ombra era diventata un'abitudine, e Mia aveva smesso di comportarsi come se fosse reale. Tutto era tornato alla normalità.

-Poi mi dici che è tutta una questione di particolari. Mi chiedi perché sono qui. Mi chiedi a chi appartengo, dici che qualsiasi cosa sia la odi perché mi ami. Piangi, dici che la natura umana è crudele, è ingiusta, dici che il tempo è falso e menzognero, che io amerò per sempre questo momento ma non amerò per sempre te. E mi dispiace, ti stringo un po' di più fino a sentire solo l'odore della tua pelle, bagnandomi un po' le guance con le tue lacrime pesanti. Ma non so cosa fare di più per te, capisci? Non so cosa mi chiedi, quale dimostrazione.. stiamo bene, siamo felici, siamo completi eppure.. qualcosa ti tormenta e ti ferisce. Mi dici che è unico quello che c'è tra noi, mi dici che non sei stata mai così. Eppure sei qui che piangi sul nostro amore, sulla nostra vita. Sei qui piena di paura. In casa nostra a volte ti senti un'ospite, lo so, qualcosa ti insegue, qualcuno, un'ombra ti cerca, un incubo che non vuoi guardare in faccia..

Sospira, spegne la sigaretta nel posacenere e si passa una mano tra i capelli, li sistema dietro all'orecchio.
-Mi hai detto, una volta, che quello che trovi in me.. con me.. è il luogo della felicità. E che passerai il resto della tua vita ad inseguirlo.
-Sì, è vero..
-È una cosa terribile da dire. È terrificante.
Scuote appena il capo, portando una mano a coprire momentaneamente il volto. Il sole sta sprofondando nelle tasche della sera, un grosso orologio d'oro, e si sparge tutt'intorno un odore come di stelle.
-Passerai il resto della tua vita a cercare la felicità in tante altre cose, in tante altre persone. Ma non più in me..
Stefano sorride prendendo fiato, il cuore stretto, lo protegge con la mano che appoggia al petto.
-Non te ne andare.. siamo felici insieme..

-Quello che intendevo, sai, prima che ti alzassi e te ne andassi via, è che io passerò il resto della mia vita ad inseguire quel momento, quell'istante, quell'abbraccio.. quella felicità. Ma non lo troverò da nessuna parte. Perché è una cosa che appartiene solo a te, che si trova soltanto in te, in noi. Volevo dire questo io, sai.. e te lo dico ora per telefono che non amo l'amore, non amo la sensazione, non amo la pace che tu mi dai.. lo so cosa pensavi, tu pensavi che io amassi qualcosa che qualsiasi altra donna avrebbe saputo darmi. Che amassi l'idea di una vita di coppia. Ti sei sbagliata. Io amo te, e soltanto te sei in grado di darmi questo. Potrei amare un'altra donna, e non sarebbe la stessa cosa. Sarei felice ma non sarei così felice, come lo sono con te. Potrei essere innamorato pazzo sai, come quando ero giovane, eppure non sarei al mio posto. Io te l'ho detto dov'è il mio posto. L'ho trovato. Adesso però come faccio se non ci sei più?

-Era una domanda, una maledetta domanda Stefano, quella domanda che mi tormentava il cuore giorno e notte, notte e giorno. Il fato crudele che mi ha portato a spingerla sulla punta della lingua guardandoti negli occhi, senza pronunciare un fiato, ma era come se te l'avessi fatta. Era come se mi avessi risposto. Non volevo fartela io, l'ho detto, l'avevo detto io che non volevo fartela perché mi faceva male, perché era ingiusta e avrebbe rovinato tutto.. perché, perché, perché, perché? Ma io non voglio saperlo! Perché allora ho paura che tu non mi ami davvero..?

Sai, magari te ne stai a ciondolare pigro in un pomeriggio di mezza estate, hai la testa vuota e sei a corto di storie. Ad un certo punto La vedi o Lo vedi, può capitarti o non ti capiterà mai. Ma se ti capita beh, di solito quelli senza talento alcuno lo chiamano “colpo di fulmine”. Mi è piombato addosso. È difficile gestire una cosa come questa, un imprevisto del genere, perché se non te le poni tu le domande se le pongono gli altri al posto tuo. Ed eccoti a pensare razionalmente a cosa è successo, quale fu la causa prima. Che cosa ho amato, lei o l'immagine nella fotografia? Che cosa mi ha colpito? L'istante? La persona? E se ci fosse stata un'altra ragazza li?
Ecco io.. non lo so.
Però io amavo lei, in un modo che non capivo fino in fondo, e lei amava me senza avermi visto mai. Il miracolo non è stato l'essermi innamorato di lei, la straordinarietà sta nel fatto che abbiamo continuato ad amarci per anni. In fondo credo che tutte le storie d'amore si assomiglino, semplicemente di solito ci mettono più tempo a svilupparsi mentre la nostra ha richiesto il tempo di uno scatto, di un'occhiata soltanto.
Lei però non riusciva a credermi, ma lo desiderava con tutta se stessa.
Pensava che amassi il momento, che amassi l'abbraccio, il particolare, senza capire che erano tutte conseguenze della sua persona, che senza di lei non ci sarebbero state. Che non ci saranno più senza lei, che potrei provare a cercare in altri dove senza mai trovarle, penoso mendicante maldestramente incastrato tra presente e passato.
Sono un fotografo: non ricerco l'istante. L'istante, lo scatto, è solo un mezzo per raggiungere il significato. È il linguaggio attraverso cui la realtà si manifesta. E la realtà in quella foto mi stava dicendo che eri tu. Il significato eri tu. Con quegli occhi neri e grandi che si mangiano via il mondo, che lo distruggono a inseguire ombre rincorrersi tra le porte di casa.
Se me l'avessi chiesto avrei potuto risponderti. Sarebbero scomparsi gli incubi, il pianto, mi avresti creduto. Forse è qui che mi sbaglio, forse non mi avresti creduto mai. Per questo non mi hai chiesto mai il perché.
Un giorno se ne è andata, era pallida e tremava.
Ha detto
-L'ho visto negli occhi..
E ha contratto il viso in una smorfia di dolore.
Avrei dovuto chiederle “che cosa?”, e invece me lo stava già dicendo lei, lo sguardo opaco e le labbra smorte, logorata da quel nascondino vigliacco, da quell'eterna fuga da se stessa.
-Sai Stefano, si è fermato e lo vedevo con la coda dell'occhio ma quando mi sono voltata.. lui questa volta è rimasto li. In mezzo al corridoio si è girato e mi ha guardato dritto negli occhi..
Mi dico che forse è la stanchezza, il caldo, la sete, l'emozione. Lei rovescia gli occhi e scivola a terra, così, come una piuma.
Un giorno se ne è andata, era pallida e tremava e mi ha lasciato qui, con il suo corpo vivo senza più lei, senza più sorrisi, senza più il cielo.

Non ho mai cercato lo scatto, l'istante, l'immagine. Io cercavo te.
Lo giuro.

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