domenica 27 febbraio 2011

Pensiero Numero Quattro.

Il Pensiero Numero Quattro si spezza in quattro parti. La quarta è la seguente:


Ultimo.
Domenica mattina, il sole è solo un disco incandescente appiccicato a una superficie piatta color grigio topo, tinta unita, segnata dal motivo disarmonico delle punte dei palazzi e dei grattacieli stagliarsi chiari e immobili. Ti ritrovi con il naso schiacciato contro il vetro freddo delle finestre ad offuscare il panorama con l'alone dell'alito. E che alito. Anche la pancia è schiacciata contro la finestra, la pelle nuda e sudaticcia, emana un odore pungente. E che pancia. Mi passo una mano tra i capelli, ciocche unte che riposano schiacciate sulle tempie e sulla fronte, nascondono le orecchie e solleticano il collo. Una volta avevo i capelli neri e folti, iper curati, iper morbidi, iper pettinati. Passavo ore davanti allo specchio a sistemare i particolari del volto, un punto nero di qua, un pelo di la, la mosca, le sopracciglia, cosa posso fare per le occhiaie, la crema idratante, il dopobarba. Avevo le mani perfette, senza tutti quei pelacci neri che toglievo accuratamente, senza le unghie sporche e mangiate, con la mia seduta settimanale dalla manicure, le mie lampade, la palestra e tutta quella verdura e i risparmi per comprare vestiti eleganti, profumi costosi, per riuscire ad affittare un loft con un certo stile, un orologio da vero uomo, per poter offrire tutte quelle cene, e bere con gli amici, e le vacanze lampo da una parte e dall'altra, le foto ricordo, e si è giovani per sempre. Una vita passata a fare un lavoro di merda per poter avere i soldi per poter comprare la roba che ti piace. E intanto i tuoi coetanei studiano, si fanno una cultura, dicono cose interessanti, perdono tempo in attività terribilmente affascinanti e inutili, prendono una laurea e le ragazze le hanno lo stesso anche senza i vestiti firmati, e ne hanno avute molte di meno di te ma poi si sono sposati, e alla fine ce l'hanno fatta con un po' di fortuna, hanno una casa e un paio di bambini ed escono molto meno spesso, e hanno molto meno tempo da perdere con te e tu ti ritrovi solo nel tuo cazzo di loft da scapolone e improvvisamente ti viene meno la voglia di tenerti in forma. Non ti interessa più una pelle perfetta, ti lavi molto meno spesso, mangi da burger king, andare in palestra è molto più faticoso di un tempo, preferisci bere di più piuttosto che farti le lampade, piuttosto che andare dalla manicure, piuttosto che comprare un profumo o un vestito nuovo, ti tagli i capelli da solo. E i pantaloni non ti stanno più, e compri dei jeans da quattro soldi e qualche camicia destinata ad essere sempre un po' unta, una cravatta moscia e depressa da aspirante suicida, la sera non esci e guardi la tv, ogni tanto vai a cena dai tuoi amici, con le loro mogli e i loro figli, e ripensi a quella ragazza che ti piaceva dal liceo. Amy. Ripensi a l'unica storia ufficiale e seria della tua vita, a come sei stato vile ed egoista, a come l'hai persa e con lei un po' di fiducia in te stesso. A tutte le ragazze che hai avuto, al senso che non c'è mai stato, al vuoto la mattina, alle volte che hai detto “vattene via”, al presente che invecchia e sa di polvere e ti ritrovi a piangere rannicchiato tra le lenzuola sporche tutte le sere finché non decidi che fa lo stesso, un senso lo troverai, prova a inventarti qualcosa, inizia a scrivere. E non importa se ciò che esce dalla tua penna sarà il frutto marcio dei film che sai a memoria, non importa se avrai graffiato pagine e pagine di parole bizzarre e immagini sconnesse come il profilo spezzato di un pugile, in lotta perenne con il perenne fiatone, tutto quel sudore e il cuore che pompa a mille e ti sforzi e prendi a pugni il vuoto nella speranza di spezzare la realtà come fosse uno specchio, perché dietro a quel ciccione di merda c'è un uomo, dietro a quelle occhiaie ci sono esperienze incredibili, devi solo rompere la superficie, CRAC!, devi solo rompere la superficie e scoprire che dall'altra parte c'è un idiota di mezz'età che ti sta tirando un pugno in pieno viso. E ti fa male. E ti ritrovi schiacciato contro una finestra con una puttana stesa sul letto, sporco e vecchio, con l'odore di vomito ancora sulle labbra e un cerchio alla testa. Dovevo scegliere l'innocenza. Dovevo chiamare assistenza per Julia. Dovevo sposarmi con Amy. Dovevo andare all'università. Dovevo leggere di più. Dovevo abbracciare più spesso mia madre. Dovevo essere più obbediente. Dovevo provare ad essere buono. Dovevo provarci.
Dovevo scegliere l'innocenza.

E invece eccomi qui, sull'altare del mio egoismo a voltarmi verso Nancy, Nandy, Sandy o come diavolo si chiama e svegliarla bruscamente dicendo «Pensi di avere finito?» con una voce che non so da dove mi esca, e le butto a terra i suoi soldi, e gliene butto a terra altri e le dico «Voglio finirli tutti, capito?» e lo dico con una faccia che non so da dove mi salti fuori. Voglio toccare completamente il fondo, voglio finirla con questa storia del cazzo, voglio sdraiarmi sul fondo, guardare su a pancia all'aria e gridare «Almeno io ho il coraggio di guardare in faccia le cose!». Voglio far vedere al mondo chi è il più bastardo, chi è che ha le palle, chi è che accetta il proprio presente senza frignare. Tutti pieni e farciti di falsità e apparenza, tutta ipocrisia e sorrisi bianchi e mega schermi al plasma, e beneficenza e carità e speranze per il futuro e siamo tutti unici e meravigliosi e importanti e ti vogliono bene ti vogliono bene ti vogliono bene ti vogliono bene ti vogliono bene CAZZATE! Non sei niente, non sei nessuno, e adesso ti scopi questa ballerina e non pensi ai soldi, non pensi a cosa è giusto e cosa non lo è. Adesso ti comporti come nessuno ti ha mai insegnato a fare. Adesso diventi autentico. Fanculo l'amore.
E io la fisso così, con i miei occhi pieni di ferocia e privi di pietà, il petto gonfio e il sangue che ribolle sentendomi sempre più vivo ad ogni secondo che passa. Sentendomi vivo come non mi sono mai sentito in vita mia, sto per rompere gli argini, sto per fare una di quelle cose che alcuni chiamano “peccato”, e non vedo l'ora che alzi lo sguardo e veda me, in tutta la mia imponenza e fermezza, senza l'ombra di incertezza o esitazione. Tutto d'un pezzo per la prima volta in vita mia. E finalmente mi guarda.
È ancora assonnata e solo adesso mi accorgo del suo viso senza il trucco, dei buchi scavati nelle guance e degli occhi leggermente strabici. Sorride mostrando i denti un po' storti e stiracchiandosi tra le coperte si scopre un po', quel che basta per notare un paio di brutte cicatrici sul fianco. Lo smalto è scheggiato, i capelli sono spettinati e ruffi, sembrano di plastica. Si alza in piedi senza mostrare disagio alcuno, e posso vedere i peli incarniti e i solchi della cellulite. Smagliature sul seno. Alla luce del sole sembra più vecchia di qualche anno, sempre prorompente e magra, ma adesso le linee del suo corpo sono più spigolose e dure, asimmetriche. Muscoli definiti, ma ossa troppo grosse, gambe troppo corte, spalle troppo spioventi. Che coglione. Sia maledetto l'alcol! Dannate luci rosse! «Prima però baby, devo chiedere a un'amica se può tenere ancora mio figlio..» che ti aspettavi Ben? Quelle belle non vanno con i poveretti come te. Rimango immobile e improvvisamente mi viene voglia di piangere. Nadia, Mandy o come diavolo si chiama si volta e fa «Tutto okay cucciolo?» e io mi copro la faccia con un braccio, strappando via tutte le lacrime dagli occhi. Tiro su con il naso e le faccio «Vattene via.» con una voce che non ha niente a che fare con quella di prima. Quella annuisce e inizia a rivestirsi. Io rimango immobile e continuo a coprirmi il volto, ma più trattengo le lacrime più mi manca il fiato e inizio ad ansimare, la gola è piena zeppa di benzina, prende fuoco e mi brucia il viso, ogni sospiro è un basso mugolio che sfugge contro la mia volontà. Brandy, Suzy o Kathia si china a raccogliere i soldi e se li ficca in borsa mormorando un «Ciao..» prima di uscire chiudendosi la porta alle spalle. E io posso finalmente scoppiare.

Chiamo Julia, ho la voce rotta e il naso paonazzo. Tu, tu, tu, chhrc «Prrrronto?». Mi schiarisco la gola. «July? Vieni qui per piacere?» «Ben sei tu?» «Non mi sento tanto bene.. io.. vieni qui?» e lentamente ricominciano a scendere i lacrimoni sulle guance, rotolano come massi incandescenti. «Stai piangendo?». Silenzio. Inizio a singhiozzare e tiro su col naso. «Oh, Julia, aiutami ti prego..». Silenzio. Click. Tu, tu, tu, tu. Ha riagganciato. Sta venendo qui. Lo sapevo che su di lei potevo contare, la mia piccola July, cosa farei senza di lei? Mi sento avvolto da una sensazione di calore al pensiero di poterla abbracciare, delle sue mani che asciugano le mie lacrime, delle sue labbra contro la mia fronte, e i suoi denti perfetti e i suoi capelli biondi splendere per me e me soltanto. Posso rialzarmi in piedi se solo mi tenderà la mano. Io lo so, lo so che sono una persona migliore, lo so che posso essere felice con lei, io so che nell'esatto momento in cui entrerà da quella porta sarà come se non fosse mai successo nulla. Julia definirà tutto, incastrerà l'ultimo pezzetto del puzzle, sistemerà l'ingranaggio che non funziona. Perché ci amiamo. Perché dopo tutti questi anni è questo quello che mi merito, no? No. Non sta venendo qui. Dopo due ore e mezza sul pavimento mi rendo conto che ha riagganciato e basta. Tiro su la cornetta e digito il numero una seconda volta. «Julia ascoltami..» «No! Tu ascoltami bene.. non chiamarmi più!» «Ma perché?» «Perché non mi hai più chiamata! Idiota!». Click. Tu, tu, tu, tu. E improvvisamente mi sento infinitamente stanco, e nella testa non fanno altro che ronzare i perché? come mosche su un mucchio di merda, il mucchio di merda che mi riempie il cranio, che mi esce dalla bocca. Io sono uno stronzo. Eppure non mi convince affatto. Tutte le parole dette, i sei bella, ti amo, tutte le carezze e quei gesti come se fosse la cosa più importante per me, ti chiamo dopo che già mi manchi, e poi quarantottore di silenzio. Sono uno stronzo. Eppure non mi convince affatto. Sono piccolo, meschino, egoista, sono un approfittatore bugiardo, faccio schifo. Eppure non mi convince affatto.
Stanotte ho vomitato sul divano mentre stringevo i fianchi a una puttana.
Eppure non riesco veramente a provare vergogna.
Ed è proprio per questo che continuo a piagnucolare e non vado a lavarmi, e non sistemo casa. Io sono esattamente al centro della mia vita, sono qui.
Sono qui. Spalmato a terra in un angolino con il culo freddo a contatto con il pavimento e mi faccio una gran pena, e mi piango addosso. Eppure striscio verso la scrivania, mi siedo, prendo in mano una penna e guardo un foglio bianco. Ho le mutande bucate, puzzo, la mia pancia è una mozzarella bianca. Eppure non mi vergogno.
E, sapete che vi dico?
Inizio a scrivere.
 

giovedì 17 febbraio 2011

Pensiero Numero Quattro.


Il Pensiero Numero Quattro si spezza in quattro parti, la terza è la seguente: (p.s. mi sono cimentata in scene "hard" u.u quindi se vuoi ridere, leggi, se non vuoi piangere allora evita)

Terzo

Se per caso mi fossi dimenticato di dirvelo, io ho un'amica. Si chiama Julia. Esatto: è proprio quel tipo di amica, quella che non presenterete mai ai vostri genitori, quella che vi sta ad ascoltare da anni e che non vi ha mai giurato fedeltà. Quella che pensate d'amare di tanto in tanto, quella che ancora vi guarda negli occhi e dice «Sono azzurri.». Sono a casa di Julia e mi sta preparando una tisana al non-so-cosa-calmante, modula la voce in un “mmm” rilassante simile a una ninna nanna, e di tanto in tanto si volta verso me sorridendomi gentile, senza chiedere mai nulla. Lei mi conosce, sa quando non voglio parlare, per questo non dice niente. Io sposto lo sguardo dal suo sedere magro ai vasi sugli scaffali, ai piatti appesi ai muri, ai barattoli di sale, zucchero, cacao, caffè sulle mensole, al suo sedere magro, alla tovaglia da contadina, al bianco sintetico delle seggiole di finto legno, alle mattonelle tirate a lucido, alle tende gialle alle finestre, al suo sedere magro. Toc. Tisana calda e fumante davanti a me, e le sue dita sottili ritrarsi dal manico lasciando impresse sulla retina le unghie laccate di rosso. Lo stesso rosso del rossetto che le disegna le labbra senza sbavature, anche alle quattro e trenta del mattino. Ho addosso una coperta, per il resto sono in mutande: non mi andava di indossare quella sottospecie di tuta ultraspaziale da soccorritore, lei invece ha una vestaglia nera e lucida che le taglia a metà le cosce ed è scalza. Io sono sudato e puzzo di vomito, lei ha i capelli ancora in piega dalla mattina scorsa, le coprono le spalle in onde che ne vedi anche la spuma. Cazzo, ma come fa ad essere reale? «Ma tu passi tutto il giorno a truccarti?» Julia si volta e sorride stringendo tra i denti una risata «Lo sai quanto ci tengo ad essere perfetta, Ben.» È più sincera di quanto si sia disposti ad ammettere possa essere una Bionda. «Esci mai ogni tanto?» E porto la tazza alla bocca. «Oggi in tv c'erano un sacco di programmi interessanti, e poi dovevo allenarmi, e pulire la casa, e ho persino fatto un dolce!» La tisana mi ustiona la punta della lingua e aggrotto la fronte appoggiando la tazza sul tavolo. «Eh, si vede che culo che hai messo su..» Lei scoppia a ridere portandosi una mano alla bocca, non diventa rossa, non ci riuscirebbe mai. Una volta non era così, giuro. Una volta era una persona viva. Le hanno fatto fuori il marito l'anno scorso durante una rapina in un supermercato e da allora si è tinta di biondo e ha cominciato a far finta di essere la donna perfetta nella casa perfetta con la vita perfetta. E in quanto ad apparenze ci riesce benissimo: non si trova una foto di lei e Robert, il tizio morto, né una foto di Robert. Non ci sono libri di Robert, non c'è un letto a due piazze, non ci sono mobili montati da Robert, li ha venduti e ne ha ricomprati di nuovi. È la casa di una ragazza single e sexy, una di quelle che si portano a casa due uomini alla volta, la Barbie per eccellenza. Solo che non si porta a casa nessuno, perché non esce di casa. Perché non telefona a nessuno. Perché la fuori c'è ancora qualcuno che le chiede come sta, e lei allora risponde «Come sto cosa?» «Beh.. ora che sei sola.» «Io non sono sola.» «No ma dico, ora che non c'è più Robert.» e allora sorride, gentile, e le vedi il mondo infrangersi dietro gli occhi, si spaccano gli oceani e inondano il fondotinta con colate di mascara. Si tampona gli occhi con un fazzoletto candido e sospira un «Robert chi?». Lo ha cancellato, almeno ci ha provato. A voler essere sinceri credo che Julia abbia la passione per il melodramma: insomma, non era certo l'amore della sua vita! Come poteva esserlo se era da tre anni che due sere a settimana mi infilavo sotto le sue lenzuola strappandole di bocca tutto ciò che Robert non aveva mai udito da quando stava con lei? E credete a me: non è certo bastato un lutto a cambiare le cose tra noi. «Allora che cosa vogliamo fare?» ammicca dietro il tavolo arricciando l'angolo della bocca. Penso al vecchio rimasto, penso al primo e al secondo uomo. Mi alzo stringendomi la coperta addosso e sospiro un «Sono stanco baby.». Lei annuisce con aria comprensiva, con l'aria della donna oggetto sempre pronta a dire di si, non mostra un'ombra di reazione e si limita a portare la tazza alle labbra prendendone un sorso silenzioso. Chissà se è ancora come me la ricordo dietro quella maschera di fondotinta e terra. Mi fa così tanta tenerezza che le dico «Ti amo.» lei alza lo sguardo interrogativa e inarcando un sopracciglio dice «Non stiamo facendo sesso, Ben.». «Lo so.» e mi avvicino al suo volto impietrito chinando il capo, lasciandole un bacio leggero sulle labbra, facendo attenzione a non sbavarle il rossetto. «Io non ti voglio sposare.», lo dice come se fosse a disagio. «Io ogni tanto ci faccio su un pensierino..» e lei mi guarda con gli occhi a palla. «..poi però mi ricordo che fine ha fatto Bob, e allora penso che vorrei sposare una donna che non cancelli i segni della mia presenza dalla faccia della terra, una volta morto.» «Bob?» «Non fare finta con me, non serve: ti amo. E volevo bene a Bob. Era il mio migliore amico.». E Julia scoppia a piangere.

Puoi passare cinque ore a consolare una donna, una donna che ti vuole bene, puoi passare cinque ore a consolarla e abbracciarla e riempirla di baci. Ma la sera dopo, quando ti svegli, quello che rimane di lei è solo mascara sbavato sul collo e qualche macchia di rossetto sulla pancia. E mi ricordo di quello che stavo facendo sul serio. Mi dico, Ben: hai deciso che l'amore lo lasci agli sfigati, tu devi cercare qualcosa di forte, devi cercare emozioni allo stato grezzo. E mentre ripenso a Julia e alla morbidezza della sua pelle penso che forse dovrei provare a cambiare aria. Dovrei provare a depurare l'amore dalle emozioni. Lavarle via con forza, come panni sporchi, togliere tutte le macchie e le incrostazioni d'affetto. Et voilà: il candido splendore di una sensazione allo stato puro, incontaminata, non corrotta, nuova. E decido che voglio cercare le parole profumate della notte e dell'alcol, voglio cercare le parole amare della coca e del gioco, voglio riempirmi la bocca di parole sul sesso, sulla carne e sulla voglia. Sì Ben, questo il pubblico lo ammazza, la gente consumerà le pagine a forza di leggere! La verità è che c'ho una gran voglia, ma di tornare da Julia non mi va. Mi faccio una doccia, l'acqua bollente e il sapone sciolgono lo sporco e il senso di colpa. Lei tradiva Bob, cazzo, Bob era il mio migliore amico. Ha cancellato Bob dalla faccia della terra. E poi tradiva me, cazzo, con Bob, e ogni tanto anche con qualcun altro. Adesso raccolgo tutto lo schifo di questa storia e lo trasformo in un dipinto sgargiante sulla vita vera, su ciò che di vero c'è: sul piacere. C'è chi mente a sé stesso e chi va a vedere un po' di carne ballare a pagamento. Io proprio non so quale sia la meno peggio..
Ben tu sei uno scrittore! Tu cerchi il nuovo, tu ti fai di esperienze! E stritolo ogni rimorso tra i denti della zip. E lo calpesto sotto ogni passo verso il primo night club. Lo spazzo via aprendo la porta, lo ignoro nel frastuono della musica e delle chiacchiere. Lo bevo in un bicchiere di birra, seduto al bancone, guardando una ragazza in perizoma far ballare le tette davanti a un uomo di mezz'età proprio come me, con gli occhi a palla e il ghigno divertito e godereccio. Proprio come me. «Un altro giro?», mi volto di malavoglia e incrocio lo sguardo del barista: gay. Annuisco e mi stringo il nodo della cravatta, penso: sembro proprio il tipico frequentatore di locali come questi, sembro il tipico capofamiglia uscito dal lavoro che quando tornerà a casa dalla moglie grassa e depressa le dirà che ha fatto tardi in ufficio. Che non se la scopa da una vita, Gesù, e chi lo farebbe? Mi sento improvvisamente a mio agio. Dopo la quinta birra decido di essere abbastanza in forma per gettarmi nella mischia e mi alzo dallo sgabello prestando attenzione a dove metto i piedi. La musica è a volumi inauditi, è l'ora di punta e le ragazze sorridono aggrappandosi al palo, strusciando ogni centimetro di pelle. La luce è rossa per coprire i lividi e le punture sulle braccia. Puttane tristi e drogate al mercato della carne gridare a squarciagola una cifra a due zeri. Questo lo so e mi sento una morsa allo stomaco. Quello che mi sta accanto allunga un paio di banconote e una rossa si avvicina afferrandole con un sorriso brillante. Stringe il seno tra le mani e allarga le gambe piegando le ginocchia sui tacchi dodici. Giù. Mi volto dall'altra parte portando una mano a coprirmi gli occhi. Quello dice cose. Poi non resisto, e torno a spiarli senza dare troppo nell'occhio. Lei sembra un corpo aperto a metà, sembra la sezione di un mammifero in laboratorio. Non riesco a smettere di guardare e sento una stretta allo stomaco. Vai via, vai via, vai via, e il cuore mi batte all'impazzata quando una mora mi si avvicina facendomi l'occhiolino. Sono schiave, Ben, sono schiave e sono probabilmente maltrattate e picchiate. A loro non piace. A loro non piaci. Ben, ragiona Ben, cosa sei venuto a fare qui? E quasi quasi l'immagine di Julia aggrapparsi al tavolo in un crollo nervoso mi intenerisce il cuore. Come posso farle questo? Le ho detto che la amo, e non stavamo facendo sesso. L'ho abbracciata e stretta per ore, l'ho ascoltata e l'ho baciata e poi abbiamo fatto l'amore. E la mora ora sta proprio sopra di me, con queste gambe, queste colonne che sorreggono il paradiso, e si muove così bene, ed è così bella, e le labbra carnose sorridere compiacenti sporgere sopra curve troppo alte, troppo morbide, troppo invitanti. Pensa a Julia che ti guarda negli occhi e dice «Sono azzurri.», pensa a Julia che ti ascolta anche quando dici cose stupide e noiose. Pensa a Julia che ti ama, ma che ancora non lo sa. Si china, e le ciocche dei suoi capelli neri mi sfiorano la fronte. «Vuoi vedere quanto sono brava a ballare?» e io dico «Come no.» e lei fa «Vuoi che balli per te?» e io «Tutta la notte.».

martedì 15 febbraio 2011

Pensiero Numero Cinque.

(Non mi sono dimenticata del Pensiero Numero Quattro, questo è solo un intermezzo deprimente e mal riuscito)

 Chino il capo. Un soffio di capelli scivola sul viso splendendo nel vuoto. Mani sul ventre, si intrecciano le dita tra pensieri e pelle, scavano a fondo nelle memorie, tra le costole. “Cosa fai li tutta sola?” Mezzo sguardo d'ombra le cade addosso come fosse pioggia d'estate, freme facendo scivolare le dita lungo le braccia, a lavar via l'acqua di quegli occhi scuri. “Come faccio ad essere felice?” Parole come ampolle di cristallo cadere morbide dalle labbra rosse, s'infrangono a terra in manciate di secondi silenziosi. Un sorriso sconcertato sul volto del ragazzo. Un passo, due passi verso di lei, lei ancora china sui cocci muti, ancora aggrappata a sé stessa, concentrata solo sull'ombra. “Non sei felice?” E la luce taglia via un riflesso sanguigno dagli occhi intimoriti affacciati su quella figura fragile spargersi lentamente a terra. “Sì.. lo sono”. Pone le mani al suolo cercando invano di trovare i bordi della sagoma scura sul pavimento, grattando via il silenzio dalle mattonelle. “Cosa fai?” Sorride triste. “Non vedi? Sto cercando di trovare i confini del mondo.. dov'è che finisce il dolore? Dov'è che finisce la vita?” “Smettila, e guardami negli occhi”. Allora alza il volto. “Contento, adesso?”. Silenzio. “..scusa”. Prende fiato, trascinandosi le braccia al petto inarca la schiena seguendo la curva del sospiro e distendendo le gambe. Ora, finalmente in piedi, lo guarda. Dietro le ciocche scure dei capelli il fioco baluginare di uno sguardo perso, di uno sguardo sporco. “Come faccio ad essere felice, come? Dimmelo, ti prego, come?”. “Ma tu sei felice..”. “Solo perché mi sono dimenticata..”. “Cosa?”. “Di tutto. Di tutto. Mi sono dimenticata della fine del mondo. La fine del mondo, capisci? C'è una fine..”. Allarga le braccia come raggi di un fuoco vivo, pronte a divorare un corpo, pronte a stringere e bruciare e far male, pronte a stringere da far male. E fan male, la stringono e fan male, tutto quell'amore da far male. Tutto quel corpo da bruciare e stringere, piccolo e freddo, da divorare in un abbraccio, bruciare il male.“Fai male..”. “Anche tu.”.
“Ma dimmi tu.. dimmi tu ora come faccio io, dimmi come ci riesco? Come fai a vivere quando tutto l'amore lo seppellisci? Quando il mondo va avanti, e tu non sei mai esistito, e io sono solo la polvere di anime vissute migliaia di anni fa? Come faccio a convivere con questo, io? Io.. non ci riesco. Perché per me è importante, è importante voler bene a qualcuno, e non può finire, non può..” Silenzio. “Mi distrugge l'idea che con me morirà il mio amore”. Silenzio. “Mi distrugge l'idea che non ho valore, perché allora non vale il mio amore”. Silenzio. “Mi distrugge l'idea non c'è niente dopo, perché allora non c'è niente prima”. “Silenzio!”. “Io voglio solo dire che ti amo e questo deve avere senso..”.

“Silenzio, silenzio, silenzio.. ssht, stai zitta, ti prego stai zitta.”
La stringe.
“Dimmi, dimmi come faccio adesso?”
La stringe.
“Stai zitta, non dire, sta zitta.”
E la stringe.
“Sto zitta, io sto zitta..”
Lui la stringe.
“Silenzio.”
E la stringe.
“Shht..”
E stringe.
“Non dire niente.”
Silenzio.
Non dice.
Sta zitta.
Lui la stringe.
 

mercoledì 9 febbraio 2011

Pensiero Numero Quattro.


Il Pensiero Numero Quattro si spezza in quattro parti. La seconda è la seguente. 

Secondo
Sono le tre e trenta del mattino e Chuck mi guarda con i suoi grandi occhi da cagnolone dicendomi «Salta su Angioletto..». Chuck un po' si diverte, credo. Ciò che indosso è scomodo, arancione e sterile, e fuori la notte è una crema densa tagliata a fette dalle luci dei lampioni. Non ho mai fumato in vita mia, giuro, ma sto spegnendo una Lucky rossa proprio in quest'istante, con gli altri volontari che si assicurano ci sia tutto l'occorrente in ambulanza, io sputo fuori il fumo e un po' di paura e salgo chiudendomi gli sportelli alle spalle. Ci siamo, ci siamo, ci siamo continuo a ripetermi in testa. Ho la stessa sensazione di quando giocavo a nascondino da piccolo, sono teso e all'erta, e sopratutto ho una gran voglia di vincere. Sto andando dritto al nocciolo, non salverò vite, non sarò utile a nessuno, questa sera voglio solo fare da spettatore. Sto andando dritto al nocciolo della questione, sto per scoprire cosa vale veramente guardando in faccia gli occhi di uno che muore, mi sento shockato all'idea, mi sento euforico, non sto più nella pelle, sto per trovare le parole. Un uomo dall'aria smunta mi guarda incuriosito, sta cercando di decifrare le mie espressioni. «Prima volta, mh?» e io rispondo «Puoi dirlo forte.». Avrà si e no cinquant'anni e un paio di baffi rossi e castani che vedi solo nei film. «Ricordati che se devi vomitare o ti senti svenire devi levarti subito dai piedi, capito, mh?» e io annuisco e aggrotto un po' la fronte. Ha gli occhi gialli e opachi, deve essere uno di quelli che ha visto troppo e gli si è consumato lo sguardo; improvvisamente ho l'irresistibile impulso di nascondermi. Sorrido imbarazzato e dico «Ma.. a chi stiamo andando incontro?» quello abbassa lo sguardo e sospira scuotendo appena la testa. Non mi risponde, a farlo è quello seduto accanto che gracchia un «Ah ragazzo.. brutta roba, brutta roba..», e le ombre sotto gli occhi scavati nella faccia diventano profonde e malevole. «Ma che vuol dire? Non abbiamo acceso la sirena..» una nota di sgomento mi sorprende infilandosi tra una parola e l'altra, traditrice piccola figlia di puttana, io non ho paura, io sono uno scrittore cazzo, io vado incontro alle emozioni forti. Il primo uomo sorride appena e stringe gli occhi in uno sguardo amichevole «Beh, prima o poi capita di vedere certi spettacoli.. tu hai un gran culo, tu te li becchi subito.» inarco il sopracciglio, e il secondo uomo si schiarisce la voce «È morta. Stiamo andando a raccogliere i pezzi a casa sua.». Non so perché ma quelle parole mi si infilano in gola, spingendo come pazze, mi riempiono i polmoni e non riesco a dire niente, e rimango li, a bocca aperta e sbatto gli occhi e credo di avere un'aria decisamente idiota e tutto quello che riesco a pronunciare è «..una donna?» mi esce in un sibilo. Sono bianco, me lo sento, e non siamo neanche arrivati a destinazione. Il primo annuisce, il secondo si sporge appena e mi fa «Puoi rimanere qui, se non te la senti..». Voglio rimanere qui. Sono un coglione, ma Cristo, dico io, come si fa a pensare di andare a cercare la verità nelle sfighe altrui? Non ho più voglia di giocare. L'ambulanza si ferma e io sorrido teso dicendo «No, no.. io vengo con voi.» e sì, cazzo, sono un vero uomo io. Si aprono le porte e scendo. Time out, basta, fido, un attimo per favore fatemi riprendere fiato. La barella, la cassetta del primo soccorso, le mascherine, i guanti, i due che mi guardano incuriositi e poi si guardano tra loro, e la notte che mi entra in gola e spinge, fredda e pungente. Non riesco a chiudere gli occhi. «Ma che le è successo?» e la mia voce trema. E io sono abbastanza coperto. «Maniaco depressiva incinta che si è aperta la pancia con un coltello da cucina.» e io mi volto di scatto e spalanco la bocca e tutte le parole che mi salgono alla mente si condensano in conati di vomito acido e rossiccio, misto a pezzi di kebab e i cereali che ho mangiato prima di uscire. Splat. Mi sento una merda. Mi sento di merda. Sono bianco, e sudaticcio. Le palle le devo proprio aver lasciate a casa oggi, o forse non le ho avute mai. Il primo uomo mi appoggia la mano sulla spalla e solo allora mi accorgo che sto tremando. «Se non te la senti puoi rimanere qui..». Col cazzo. Sputo i residui degli acidi gastrici sul marciapiede, rutto, e mi volto alitandogli in faccia a pieni polmoni un «Non vedi che ho già vomitato?». Pace libera a tutti.
Saliamo le scale, mi sento fico, mi sento come dentro a un film; tutta la paura è sparita nella roba che ho sbrodolato sull'asfalto. Hey Ben, ci siamo quasi Ben, stai per vivere un'esperienza di vita vera, stai per trovare una marea di parole, stai per sconvolgerti gli occhi. Già l'immaginavo: bella e fredda con un vestito morbido e leggero, qualche bottone slacciato sulla scollatura e i lunghi capelli mossi accarezzarle il volto perfettamente rilassato, occhi chiusi e lunghe ciglia che sfiorano le guance già pallide. Luci spente e il chiarore lunare ad avvolgerne i contorti in un'aura argentea, algida visione, la mano molle coprirsi il ventre, l'altra adagiarsi accanto a una pozza di sangue infinita inondare il tappeto e disegnare rivoli purpurei che dal pancione orrendamente sgonfio macchiano le gambe sottili e nude, le braccia magre e rilassate, come petali d'un mazzo di rose esplose in un maggio di ruggente follia. E poi il grido delle viscere e del feto sparsi in una merda di liquami maleodoranti. Sì Ben, questa è poesia, questo il pubblico lo fa sbavare. Ecco la porta. Il primo uomo mi guarda come a volermi dire pronto?, il secondo uomo suona fa per appoggiare la mano alla maniglia quando la porta si apre. Sbam.
Luce, una faccia rugosa e vecchia, è una vecchia, ha l'aria affannata. Dice «Mio marito non sta tanto bene..» con due occhi grandi come un uovo spellato, molli come un uovo spellato, lucidi come il tuorlo di un uovo. Il primo uomo sorride tranquillo e dice «Mary, tranquilla.. adesso ci pensiamo noi.» e il secondo uomo mi guarda divertito e soffoca una risata scuotendo la testa. Dentro il buco di monolocale ammuffito e spoglio c'è un vecchio arreso al peso degli anni annegare sotto una montagna di coperte, che al momento sembrano strati e strati di pelle, la sua pelle. La bocca secca e avvizzita gli trema, un filo di bava agli angoli delle labbra, mi punta gli occhi sbarrati addosso e sorride completamente rincoglionito. Ride, il beota. Ride. Muori vecchio. Muori, muori, muori che cazzo! Andate tutti affanculo. Fanculo al primo uomo e fanculo al secondo uomo, fanculo al vomito sparso sulla strada e fanculo a Chuck. Fottetevi tutti e non fatemi vedere mai più le vostre facce. Sto perdendo la calma, non respiro più, non mi muovo più. E il vecchio mi guarda e ride, completamente andato. E il secondo uomo mi guarda e non riesce più a trattenersi e gli vengono le lacrime agli occhi, e il primo uomo si copre il volto nascondendo un ghigno. E la vecchia Mary si guarda attorno con aria persa e sorride senza capire. E io mi volto, mordendomi il labbro e seppellendomi la faccia nelle mani, trattengo il fiato. Non respiro più. Vorrei morire.
Che figura di merda.

domenica 6 febbraio 2011

Pensiero Numero Quattro.

Il Pensiero Numero Quattro si spezza in quattro parti. La prima è la seguente.

Primo
Ti svegli al mattino, scendi dal letto e ti affacci alla finestra. Al di la del vetro freddo e per metà opaco per la condensa si raggrumano nuvole dietro le sagome scure della città, coagulano attorno ai primi raggi di un sole sottile, spento. Londra, Parigi, Pechino, New York, Tokyo. Vita, vita, vita, vita, vita. Non qui, non davanti al ritratto insipido dell'ennesimo mattino. Ovunque ma non qui.
E invece.
Prepara il caffè, mangia gli integratori, lavati, vestiti, bevi il caffè, lavati i denti, metti il profumo e non raderti la barba. La donna delle pulizie arriverà tra un'ora. Di un po', quand'è l'ultima volta che l'hai vista? Avrà si e no quarant'anni, scura, accento strano e ti rifà il letto tutte le mattine. Spazza sotto i mobili, conosce la tua sporcizia. Non ti viene voglia di cambiare la serratura? Di installare telecamere nascoste? Il prezzo di vivere da soli è accettare il fatto che casa tua sarà sempre piena di estranei. Che la tua vita sarà sempre piena di estranei.
Mi sono svegliato depresso stamattina.

A come Albore. Avete presente Mrs Maestra alle elementari? Avete presente la domanda? «Che cosa vuoi fare da grande, Martin?», «Il pompiere, l'astronauta, il poliziotto, il gelataio». Curioso come i mestieri siano sempre quelli, chiedete a qualsiasi bambino bianco in tutto il paese che cosa vuole fare da grande: sono sempre quelli, sempre i soliti mestieri, negli occhi dei bambini vedi riflessi i grandi idoli comuni. C'è da mettersi a piangere. B come Bocciolo. «Che cosa vuoi fare da grande, Martin?», «Mi chiamo Ben». Mi chiamo Ben, sono Ben, da grande farò Ben eppure sembra che non conti un emerito cazzo essere me da grande. E di fatto non conta niente essere qui, ora, sul marciapiede in mezzo a un'orda sciabordante di colori e suoni strisciarmi accanto come tentacoli della Grande Piovra Civile. C come Crisalide. In realtà non sono misantropo, io amo stare in mezzo alla gente. Fingo, lo so fare bene, fingo di provare fastidio quando sono in autobus con cinque ciccione che mi schiacciano contro la porta d'uscita, storco il naso quando devo attraversare le strisce assieme a tutte quelle persone. Avrò detto almeno un milione di volte la tipica frase: «Non vedo l'ora di tornare a casa, di stare finalmente solo e in pace con me stesso». Stronzate. D come Dettaglio. Io non sono in pace con me stesso, io non so stare solo, io ho bisogno della gente viva che si muove accanto a me, ho bisogno delle loro brutte facce, dei loro vestiti abbinati secondo un gusto orrendo, ho bisogno delle voci che strillano al telefono come se nessuno potesse sentirli, ho bisogno dei tassisti incazzati suonare il clacson in continuazione, ho bisogno di sapere che la realtà è brutta, e che non sto vivendo un sogno. Sono vivo. Sono reale. «Sono Ben e da grande voglio fare lo scrittore.». Io voglio fare lo scrittore. E come Eclettico.
L'esperienza più significativa che mi accomuna al genere umano è il perdere le parole. Avete presente quando nel bel mezzo del discorso non riuscite più a trovare la parola chiave, quella esatta che chiarisce perfettamente il concetto? Quando non riuscite a trovare le parole per controbattere? Scrivere per me è la stessa identica cosa. È una continua lotta alla ricerca di un termine, che inizia per P e finisce con O, è la perenne aspettativa che per transizione l'illuminazione del monitor del pc raggiunga anche tua mente, aspetti il tripudio, l'esplosione, la primavera, lo scoppio, l'eruzione. Parole a bizzeffe, parole a centinaia, cascate di parole.
Ma stamattina non mi sembra sufficiente fare il solito giro in città, non mi sembra sufficiente far finta di nulla aspettando che le parole ti piombino addosso. Stamattina mi sono stancato di aspettare. F come Fallimento.

Cos'è che ti rende diverso da un genio? Il punto di vista. Mi sento un po' imbarazzato all'idea di immedesimarmi nei panni di un investigatore privato, per non dire guardone. Uno spione. Un ladro. Un maniaco. Un assassino. Improvvisamente non è più la folla a inglobarmi nel suo scalpiccio. Non sono più le persone a guardarmi, a passarmi accanto, ad urtarmi. Improvvisamente mi sto addentrando in una realtà che prima d'ora non avevo mai esplorato con così tanta attenzione. Ora sono il Protagonista, è questa la sensazione che mi scorre nelle vene. Io sto camminando, penso, io sto svoltando a destra e poi rallenterò un poco girando la testa per vedere se c'è qualcosa che valga la pena. Sono Attivo. Io sto vivendo il mondo. Sto cercando qualcosa. Sto rubando un po' di realtà al mondo e mi sento come se stessi facendo qualcosa di illegale.
C'è una ragazzina appoggiata al muro, avrà si o no sedici anni e si accende una sigaretta. Cos'è che ti rende diverso da un maniaco? Il punto di vista. Io la sto osservando e probabilmente si spaventerebbe a morte se sapesse da quanto tempo lo sto facendo. Tre ore a zonzo per le strade, i bar, i parchi pubblici, qualche sigaretta, caffè, librerie, altalene, e sguardi vigili e circospetti. Compito in classe, glielo si legge stampato in volto. Ha un viso troppo grezzo per risultare carina, i lineamenti pronunciati, gli occhi a palla e i capelli di un biondo cenere cadere pari sulle spalle spioventi. Ha un corpo troppo magro e acerbo per essere attraente. È evidente che si trucca di nascosto dalle sbavature della matita e dalle macchie di mascara sulle palpebre. È la cosa più noiosa che abbia mai visto in tutta la mia vita, mi viene quasi la nausea a pensare al tempo sprecato dietro una ragazzetta in fuga. Ma che cazzo stai facendo Ben? Il cielo azzurro, le nuvole, le storie d'amore? L'amore ha rotto le palle. Le ragazzine hanno rotto le palle e la dolce e sottile poesia che si intreccia nelle trame del traffico e che solo un anima sensibile sa ascoltare e capire deve andare a fanculo. Ho voglia di sentire il sangue ribollire nelle vene, voi no? Basta con la metafisica di Sta Minchia e la spiritualità di Chissene Fotte. C'è carne e c'è cemento. C'è che devo scrivere di qualcosa di forte, qualcosa che ti faccia accapponare la pelle. Poeti e artisti continuate a masturbarvi e il mondo lasciatelo a me. Devo parlare della verità io, devo parlare di ciò che puoi toccare e sentire, ciò che è caldo e scotta tanto da far male. La città, la città è la vita, è la garanzia che ci sei. C'è carne e cemento. La verità sta tra la carne e il cemento.
In quest'esatto istante passa un'ambulanza con le sirene a palla e mi viene un'idea.
C'è carne e cemento.

giovedì 3 febbraio 2011

Pensiero Numero Tre.


Alzai lo sguardo dalla polvere. Cinquanta grammi di orizzonte mi pesavano sulle palpebre, affondando nelle viscere, mentre sostenevo il cielo con la sola forza delle ciglia. Era un inferno bianco e azzurro, il mare talmente trasparente che te lo saresti bevuto, e nonostante il dolore la sete continuavo a pensare Doug, stai sporcando il paesaggio con tutto questo sangue del cazzo.
Avete presente quando state per morire?
Beh io no. Avevo fame, e avrei mangiato qualsiasi cosa se solo ne avessi avuto la possibilità, con o senza buco nelle budella. Tutta quella roba rossa che mi scappava fuori non m'aiutava affatto a capire che cosa stesse accadendo, pensavo Doug, non puoi morire, non ci saresti più altrimenti. Di solito nei libri vengono spese parole per la morte di qualcuno. Di solito nei film c'è una telecamera che riprende il tutto. Invece io ero lì, definitivamente solo, prostrato verso il mare come se mi fossi arreso alla sua inarrestabile bellezza, e non c'era un regista a dirmi di ricominciare daccapo, né una voce fuori campo che batteva in diretta i miei ultimi istanti di vita. Ero solo stanco e in leggero delirio per l'emorragia, sentivo bene il mio corpo: stomaco vuoto, gola arsa, prurito alla testa, sudore, occhi di piombo, piombo in pancia. Non ricordavo neanche tanto bene la paura iniziale. Avete presente quando stanno per spararvi?
È molto più emozionante, se vi è mai capitato, sognarlo; nei sogni le emozioni sono più forti e più nitide, perché ci credi che lo stai vivendo. Nella vita vera invece si pensa sempre che sia tutto un sogno. Perciò tutto quello che mi stavo velocemente dimenticando era una stronza con i capelli spettinati che mi puntava addosso una pistola e piangeva. E debbo aver pensato che era molto carina, che assomigliava a mia moglie, che magari mia figlia sarebbe diventata così, e poi no.. no, no, no Doug, tu hai un naso troppo grosso, Penny Lane non sarà mai carina come quella ragazza, ma poi Gesù!, non ha senso, lei ha i capelli castani, mentre Penny è rossa, starebbe male un viso come quello con dei capelli come i suoi!, basta, domani la chiamo e le dico che è carina così com'è, se solo quella mi fa il piacere di abbassare quella pistola del cazzo, ma poi chi diavolo è?, e poi bum! Fatto fuori.
Forse voleva spararmi in testa, però non ha avuto il coraggio di premere il grilletto una seconda volta. Fu veramente drammatico, lei non corse via. Si avvicinò con il braccio ancora teso e il vento che le sferzava i capelli sul viso, le partì un secondo colpo per sbaglio e mi mancò di poco, cacciò un urlo di spavento e fece un balzo all'indietro. Mi guardava come se le stessi puntando una pistola alla testa. Era proprio carina, dico, è strano quando guardi il volto del tuo assassino e quello è proprio un viso carino. Sorrisi senza rendermene nemmeno conto e quella si fermò e cominciò a gridare a squarciagola, chiedeva scusa, non faceva altro che chiedere scusa e mandare a fare inculo un certo Fergus. Si stringeva le braccia, alzava le mani al cielo, si copriva il volto, non faceva minimamente caso a dove puntava la pistola finché non le partì un terzo colpo, in acqua, e per lo spavento buttò l'arma a terra, facendo partire un altro colpo ancora. Chi sa come mai non avevo paura d'esser ferito. Poi finalmente silenzio.
Cominciai a realizzare che era una cosa seria quando mi resi conto che non sentivo il suono di un'ambulanza né le grida di spavento dei testimoni.
Ci sente al centro del mondo finché la spinta di un proiettile non ti sposta un po' più in là.


Quando rinvenni lei mi accarezzava i capelli stringendomi a sé. Aveva delle mani sottili e nodose, le mani di un'artista, ed erano incredibilmente calde e ruvide causa pistola. Continuava a chiamarmi Senior, Senior, Senior, Senior, finché non le sibilai un fanculo. Di solito la gente si incazza se la si insulta. Lei piangeva e rideva assieme, come se stesse stringendo a sé il figlio morto improvvisamente resuscitato, la Vergine Maria. Però scordatevi gli occhi blu e la pelle nivea, lei era castana e decisamente abbronzata, una di quelle sudamericane che si vedono nei video su Mtv che vostra figlia neo adolescente si spara dalla mattina alla sera. Dio, Penny Lane!, non mi ricordavo neanche quando fosse il suo compleanno, ma ero certo le avrei regalato il mondo intero se solo non fossi morto. Sei un po' stronza, eh?, sbiascicai, la Vergine Maria strinse gli occhi attorno al mio volto, come se non volesse lasciarmi andare, e poi ricominciò a piangere. Di nuovo quel lamento acuto come se fosse lei a morire, sparava sleghi in spagnolo senza prendere fiato e mi stringeva sempre più a sé, con fare quasi materno, strozzandomi appena, rovesciandomi addosso tutte quelle lacrime che piovevano come pioggia, poi finalmente cessò.
Chiama un'ambulanza, dissi, chiama aiuto. Lei fece segno di no con la testa. Aiuto, sto morendo, aiuto. Il vento le soffiò via dalla faccia le ciocche scure, rivelando i lineamenti pronunciati e dolci tipici del sud, aveva le labbra imbronciate, carnose labbra imbronciate e il naso vagamente adunco, sottile e lungo, e sopracciglia terribilmente severe ora flesse in uno sguardo di terrore e compassione. Stavo morendo, glielo si leggeva in faccia, eppure non avevo voglia di guardare il macello che aveva combinato. Mi fidavo del suo viso. Oh, vaffanculo! Chiama aiuto stronza! Scosse il capo e tornò a nascondersi dietro i capelli. Ho sete.. aiutami dai, ti prego, aiutami, ho sete e ho fame, e non riesco a muovermi senza sentire un fottuto dolore scavarmi nella pancia, dai, chiama qualcuno oppure uccidimi subito, lo sai che è una morte lenta quella che mi aspetta?, eh?, non ti faccio un po' pena, almeno?, tu non volevi farmi del male, giuro che non ti denuncio, giuro su tutto quello che vuoi, ti do anche dei soldi se li vuoi ma ti prego, aiutami, dai, ti supplico.. sto perdendo tutto il sangue che ho, come faccio senza?, dai per favore, per favore, tutto quello che vuoi, giuro su dio, tutto quello che vuoi io.. chiama aiuto cazzo! Stavo piangendo come un bambino, con il muco che colava dal naso e la bava che scivolava sul mento. Le lacrime arrivavano sin dentro le orecchie, eppure Maria aveva chiuso gli occhi e sembrava non starmi ascoltando affatto. Doug, pensavo, Doug offrile più soldi di quanti ne abbia mai visti e promettile di portarla via di qui. Senti, hei tu.. guardami, guardami dai.. ti faccio così schifo?, sono così brutto?, dai cazzo guardami, che sto per morire! Quella aprì subito gli occhi, stava affogando nel senso di colpa: per questo tratteneva il fiato. Prima di tutto se non mi aiuti e mi lasci morire scopriranno chi sei, perché io sono qualcuno e l'Fbi ti troverà. In secondo luogo io ti riempirò di soldi, ti imbottirò di soldi, giuro, e ti porterò via di qui, diventerai ricca, mh?, così ricca che avrai la donna di servizio per tirare lo sciacquone e per rimboccarti le coperte, talmente ricca che i commessi di Tiffany ti chiameranno per nome, avrai tutto quello che ti pare ma fammi il sacrosanto piacere di chiamare un'ambulanza perché altrimenti io ci rimango secco! Cristo..! Mi mancava il fiato, stavo diventando troppo debole. Improvvisamente ero solo un povero vecchio molliccio incollato alla pelle sudata di una sudamericana di merda.
Senior, disse lei, Senior io non voglio niente di tutto questo, io morirò tra poco.
Avete presente quando c'è un colpo di scena?